«Bibliotime», anno XVII, numero 1 (marzo 2014)

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Michele Santoro

Back to the net. Indagine retrospettiva sulla 'network society' e le sue origini *



Abstract

The subject of the network society is analyzed in three paragraphs. The first one takes into account its origins, discussing, in particular, the studies of the sociologist Manuel Castells and those of the theoricians of the 'network science'. The second concerns the Internet phenomenon seen from a cultural and sociological point of view. In the third one are explained the opinions of different authors - technicians, sociologists, philosophers - about the Internet, the cyberspace, the virtuality and so on. In particular, the thesis of Clifford Stoll, Tomás Maldonado, Paul Virilio, Nicholas Negroponte, Derrick De Kerckhove and Pierre Lévy are here examined.

1. La nascita della società in rete

Il presente contributo intende esaminare alcuni fattori di cambiamento – di natura non solo tecnologica, ma anche economica e culturale – che, a partire dal secondo dopoguerra, sono intervenuti nel contesto sociale, dando origine ai fenomeni che hanno portato a una dimensione così complessa e dinamica com'è l'attuale.

In realtà non è un caso se questo itinerario abbia inizio alla metà Novecento: a partire da questo periodo, infatti, si assiste non solo all'avvento e alla progressiva diffusione del computer, ma alla convergenza della tecnologia informatica con quella delle comunicazioni. Si tratta di un'innovazione di portata tale che ad essa è stata attribuita una vera e propria data di nascita, coincidente con il lancio dello Sputnik avvenuto nel 1957: una data, a parere di molti osservatori, che segna l'inizio di una nuova epoca, se è vero che "la combinazione di satelliti, televisione, telefono, cavi a fibre ottiche e computer microelettronici ha catturato il mondo in una rete di conoscenze unitaria". [1]

Questa estensione a livello globale delle comunicazioni, a sua volta, ha comportato uno sviluppo sempre più vasto delle reti telematiche, che sono via via diventate la principale infrastruttura al servizio dei numerosi settori in cui si articola la società. Di conseguenza, si è via via manifestata un'idea della rete come espressione dei fenomeni sociali, non legata cioè alla sola dimensione tecnologica, ma sempre più inserita nei diversi contesti socioeconomici e culturali.

Se allora si vuol trovare un punto d'avvio in un discorso che vede l'idea di rete al centro della scena sociale, questo può essere individuato nel rapporto dal titolo L'informatisation de la societé, redatto nel 1978 da Simon Nora e Alain Minc su richiesta presidente francese Valéry Giscard d'Estaing. [2]

In esso gli autori – che per primi adottano il termine telematica per designare la combinazione tra informatica e telecomunicazioni – si dicono convinti che sarà proprio la somma di queste tecnologie a costituire la chiave di volta del mondo contemporaneo, essendo in grado di sovvertire i tradizionali rapporti di forze che governano la società. È per questo che Nora e Minc mettono l'accento sulle possibilità legate al computer, in quanto costituiscono un formidabile fattore di cambiamento culturale e sociale: a parere degli studiosi infatti la rivoluzione informatica, "nella misura in cui trasforma radicalmente il trattamento e la conservazione delle informazioni, ha la possibilità di incidere sul sistema nervoso delle organizzazioni e dell'intera società". [3]

Tale considerazione, proseguono gli autori, è confermata dal fatto che il mondo dei computer non mostra più quegli aspetti esoterici ed elitari che ne hanno caratterizzato gli esordi, ma si presenta come "un'informatica di massa", basata su un gran numero di macchine, piccole, potenti e poco costose, che sono in grado di operare attraverso una fitta serie di collegamenti di rete. Ed è proprio l'insieme delle connessioni originate dalle strutture telematiche a dar vita a nuovi organismi, che assumono caratteristiche sempre più "reticolari": come scrivono gli studiosi,

la telematica non costituirà semplicemente un'altra rete di natura diversa, capace di far interagire immagini, suoni e memorie, e di trasformare i nostri attuali modelli culturali. La telematica interesserà, anche se in modo ineguale, tutti gli aspetti della società, peserà sugli equilibri economici, modificherà i rapporti di potere. [4]

La visione di Nora e Minc sulle possibilità della telematica – ed in particolare l'idea di un'infrastruttura basata su una molteplicità di collegamenti a livello planetario – trova una clamorosa conferma verso la metà degli anni Ottanta, quando si assiste alla tumultuosa espansione della rete Internet. Difatti, per quanto la sua nascita risalga agli anni Sessanta, è solo a distanza di due decenni che questa infrastruttura si estende a livello di massa: e ciò non solo perché la tecnologia che la sostiene viene giudicata sufficientemente matura per collegare una quantità di computer in tutto il mondo, ma perché è proprio in questo periodo che emergono le reali caratteristiche della rete, che si configura da un lato come un potentissimo mezzo di comunicazione, dall'altro come uno straordinario serbatoio di informazioni e di conoscenza.

È dunque la validità dei suoi requisiti tecnici, oltre che la versatilità dei suoi processi di comunicazione, a determinare la crescita di questo strumento, che viene utilizzato per finalità assai differenti, dagli scambi interpersonali alla diffusione delle informazioni scientifiche, dalle transazioni commerciali al raccordo fra le diverse realtà economiche, politiche e culturali. Tale crescita è alimentata non solo dalla connessione alla rete Internet di un numero sempre maggiore di computer, ma dalla progressiva confluenza in essa delle altre reti telematiche; [5] ciò dà origine a un trend destinato a esplodere negli anni Novanta, quando la presenza di un nuovo e assai efficiente sistema di navigazione, il World Wide Web, segnerà la definitiva affermazione di Internet in tutti i contesti della vita quotidiana.

Ed è proprio la diffusione impetuosa e massiccia della rete a fare da perno alla riflessione di Manuel Castells, lo studioso cioè che più di ogni altro ha contribuito a individuare i legami fra questa forma tecnologica e la pluralità dei fenomeni che hanno luogo nel mondo contemporaneo. Docente di sociologia all'università di Berkeley e autore di numerosi saggi sulla società odierna, Castells disegna un affresco assai vasto, inquadrando questi fenomeni all'interno delle trasformazioni indotte dalle nuove tecnologie, e dando vita a una monuntale trilogia intitolata The information age. Economy, society and culture. [6]

A giudicare dal titolo, si può supporre che Castells aderisca a quella linea di pensiero che definisce la società odierna come società postindustriale o dell'informazione, in quanto la sua economia non è più basata sull'agricoltura o sull'industria come nelle precedenti forme sociali, ma sulla nuova tendenza costituita appunto dall'informazione. [7] E tuttavia, precisa l'autore, se è vero che nella nostra epoca la principale fonte di produttività risiede nelle tecnologie "di generazione del sapere, dell'elaborazione delle informazioni e della comunicazione simbolica", è altresì vero che questi aspetti sono presenti in tutti i periodi storici, in quanto ogni processo produttivo è sempre basato su un certo livello di conoscenza e di elaborazione delle informazioni.

Per contro, ciò che caratterizza la società attuale "consiste nel fatto che la sua fonte principale di produttività è l'azione della conoscenza sulla conoscenza stessa", con un'enfasi più marcata sugli aspetti legati alla "tecnologia di generazione del sapere, dell'elaborazione delle informazioni e della comunicazione simbolica", i quali caratterizzano in maniera specifica la società attuale.

Ed è per questo che Castells non accoglie il termine di information society – finora usato per definire questa struttura sociale – dal momento che il concetto di informazione, "nel suo significato più lato, per esempio come comunicazione del sapere, si è rivelato determinante in tutte le società, compresa l'Europa medievale". [8]

Lo studioso dunque introduce la nozione di "informazionalismo" per denotare l'odierna dimensione socioeconomica, e di "nuova società informazionale" per raffigurare un contesto dominato da "specifiche forme di organizzazione sociale, in cui la generazione, il trattamento e la trasmissione dell'informazione diventano le risorse fondamentali della produttività e del sapere": [9] difatti, è solo grazie a questi termini che è possibile designare in maniera corretta quella "forma di organizzazione sociale in cui lo sviluppo, l'elaborazione e la trasmissione delle informazioni diventano fonti basilari di produttività e potere grazie a nuove condizioni tecnologiche emerse in questo periodo storico".

Stabiliti in tal modo i presupposti concettuali della sua analisi, Castells può riconoscere che la nuova dimensione sociale non si presenta più nelle forme separate ed autosufficienti che hanno caratterizzato il mondo contemporaneo, ma assume un andamento decisamente globale, strutturandosi intorno a quello che appare l'aspetto più innovativo e dinamico dell'odierna realtà, e cioè la diffusione delle reti: difatti, se è vero che le trasformazioni maggiori sono quelle legate alle tecnologie dell'informazione, è altresì vero che queste tecnologie presentano un'estensione, una vastità d'impiego e una flessibilità tali da determinarne la convergenza verso un'architettura che è appunto quella della rete. Ed è in tal senso che Castells può definire la dimensione odierna come una vera e propria network society, una "società in rete", al cui interno si strutturano i diversi processi economici, politici e culturali: nelle parole dello studioso,

una società in rete è una società in cui le principali strutture e attività sociali sono organizzate intorno a reti d'informazioni trattate elettronicamente; essa dunque non s'incentra soltanto sulle reti [...], ma su reti che trattano e gestiscono l'informazione e che usano tecnologie basate sulla microelettronica". [10]

Castells dunque pone in un rapporto assai stretto le diverse situazioni originate dalle nuove tecnologie, ribadendo che

le funzioni e i processi dominanti nell'Età dell'Informazione sono sempre più organizzati intorno alle reti. Le reti costituiscono la nuova morfologia sociale delle nostre società, e la diffusione della logica di rete modifica in modo sostanziale le operazioni e i risultati dei processi di produzione, esperienza, potere e cultura. Benché la forma di organizzazione sociale a rete sia esistita in altri spazi e tempi, il nuovo paradigma della tecnologia dell'informazione fornisce la base materiale per la sua espansione pervasiva attraverso l'intera struttura sociale. [11]

Questa inedita organizzazione di rete dà origine a cambiamenti di portata assai vasta, che da un lato escludono dai flussi di comunicazione, di produzione e di potere tutti coloro che non riescono a dominare tale prospettiva, dall'altro inglobano nella propria compagine le preesistenti forme socioeconomiche.

L'analisi di Castells ci fa insomma comprendere che siamo di fronte a un nuovo paradigma, in cui l'idea della rete non appare una semplice metafora in grado di rappresentare l'epoca attuale, ma si configura come la chiave di volta, il perno intorno a cui ruota l'intera società: difatti, non è un caso se negli ultimi anni si è assistito all'emergere una quantità di strutture reticolari, non costituite soltanto dalle reti telematiche e dalla loro "sintesi" rappresentata da Internet, ma da qualsiasi realtà che si presenti come un intreccio di nodi, di connessioni, di legami. E non v'è dubbio che questa nuova articolazione si sia affermata, oltre che per l'efficacia delle soluzioni tecniche che ne stanno alla base, proprio perché si è strutturata intorno a quella "tecnologia di generazione del sapere, dell'elaborazione delle informazioni e della comunicazione simbolica" esaminata con tanta attenzione da Castells.

Si tratta di una prospettiva che ha avuto un impatto straordinario sull'odierna riflessione socioeconomica, conducendo molti osservatori a ipotizzare il passaggio da una generica società dell'informazione ad una più impegnativa e complessa società della conoscenza, [12] nella quale a determinare lo sviluppo sociale non sono più o soltanto le diverse realtà riconducibili al mondo dell'informazione, ma tutte quelle situazioni in cui si manifesta un livello più alto di elaborazione, in grado di trasformare l'informazione in vero e proprio sapere.

Difatti, osserva Nico Stehr, il sapere e la sua elaborazione appaiono elementi costitutivi del nostro modo di essere, assolvendo a un ruolo chiave nelle diverse dimensioni del reale, sia quelle di tipo pratico e operativo (come può essere la progettazione di nuove tecnologie), sia quelle di natura individuale, come ad esempio avviene quando attingiamo al nostro bagaglio di conoscenze per dare fondamento alla nostra esistenza e alle nostre azioni quotidiane.

Non v'è dubbio che questi fenomeni – la diffusione delle reti, la nascita di una società della conoscenza – presentino caratteristiche fortemente innovative: ciò che si manifesta infatti è una una dimensione socioeconomica assai più complessa, diffusa a livello globale e fondata su una pluralità di reti che, con i loro requisiti tecnici e le inedite possibilità di comunicazione, danno vita a profondi mutamenti nei diversi ambiti culturali e sociali. Ed è proprio tale situazione che, a cavallo del nuovo millennio, ha costituito la base per le analisi di un gruppo di sociologi e studiosi del nuovo ambiente tecnologico, e ha dato vita a una vera e propria scienza che non a caso è stata definita network science. [13]

Secondo questi autori infatti tale disciplina non è altro che la rappresentazione – modellizzata e parametrizzata secondo rigorosi criteri scientifici – della quantità di connessioni che congiungono l'intero pianeta: fra Internet ed e-mail, fra satelliti e telefoni cellulari, fra autostrade ed aereoporti, siamo immersi in un mondo di reti, sottoposti ai condizionamenti che esse ci impongono, sconcertati e spesso turbati dalla loro presenza pervasiva e multiprospettica. Queste reti sono costituite non solo dalla miriade di legami che costituiscono Internet, ma da una fitta trama di strutture culturali, economiche e scientifiche così come, mutatis mutandis, da temibili quanto "reticolari" organizzazioni terroristiche.

Le reti dunque sono dappertutto anche se, sostengono gli autori, fino ad oggi la loro natura non è stata analizzata fino in fondo: ed è proprio questo l'obiettivo che si pone la network science, che intende esplorare la molteplicità di connessioni che hanno luogo nei campi più diversi, esaminando la diffusione planetaria delle epidemie piuttosto che gli andamenti dei mercati finanziari, la ricerca di informazioni da parte degli individui piuttosto che l'intreccio delle relazioni personali, le crisi che intervengono nel mondo delle aziende piuttosto che i cambiamenti nelle infrastrutture tecnologiche.

La nascita della network science quindi è una conferma che viviamo in un mondo che non solo è totalmente globalizzato, ma è strettamente connesso in una molteplicità di reti di cui Internet non è che la manifestazione più evidente, se è vero che la rete delle reti fa da catalizzatore a una serie di processi di grande rilievo sociale, inserendosi con forza all'interno dei diversi circuiti economici, politici e culturali, e dando vita a cambiamenti che si è ancora lontani dal comprendere a pieno.

Un'autorevole attestazione di questo stato di cose viene dallo stesso Castells il quale, in un volume interamente dedicato a questi argomenti, [14] afferma senza esitazioni che "Internet è la trama delle nostre vite": non solo perché è paragonabile alle grandi innovazioni – come la macchina a vapore e l'elettricità – che hanno sconvolto e trasformato il mondo, ma proprio perché ha fatto la sua comparsa in un periodo in cui si avvertiva la necessità di una tecnologia capace di soddisfare le esigenze di cambiamento provenienti da vasti settori della società. Riprendendo i punti più significativi delle sue precedenti analisi, ma con una lucidità e una consapevolezza ancora maggiori, il sociologo di Berkeley scrive:

nell'ultimo quarto del Ventesimo secolo, si sono sviluppati insieme tre processi indipendenti che hanno aperto il campo a una nuova struttura sociale fondata in maniera predominante sul network: i bisogni di flessibilità gestionale e globalizzazione di capitale, produzione e commercio dell'economia; le domande della società nella quale i valori della libertà individuale e della comunicazione aperta assumevano una primaria importanza; gli straordinari avanzamenti delle prestazioni dei computer nelle telecomunicazioni, resi possibili dalla rivoluzione della microelettronica. In queste condizioni, Internet, un'oscura tecnologia poco applicata al di là dei mondi separati di scienziati informatici, hacker e comunità controculturali, è diventata la leva per la transizione a una nuova forma di società – la network society – e con essa a una nuova economia. [15]

 

2. Fenomenologie di rete

L'analisi di Castells, nel riconnettere alla realtà di Internet la pluralità dei fenomeni che si sono via via manifestati, costituisce una conferma della centralità di questa dimensione e del suo ruolo nel mondo contemporaneo: difatti la rete è diventata oggetto di un interesse che non conosce confini, venendo analizzata da sociologi ed economisti, da psicologi e studiosi di comunicazione, i quali, nel definirne la natura sfaccettata e complessa, ne confermano l'importanza epocale.

Non è un caso, scrive infatti Mario Morcellini, se "le parole chiave con cui la rete maggiormente interferisce sono quelle di conoscenza, di mobilitazione e personalizzazione della comunicazione, di nuovi circuiti sociali alimentati dai nuovi saperi e dallo scambio comunicativo". Si tratta insomma di un fenomeno che "influenza profondamente le strutture cognitive della società e le stesse modalità di trasmissione del sapere", incidendo "strutturalmente sui rapporti sociali dei propri utenti" e provocando "un impatto devastante sulle rendite di potere e sui tradizionali ruoli della mediazione intellettuale". [16]

Ed è in questo senso, prosegue l'autore, che Internet appare da un lato come "la colonna sonora del mutamento", dall'altro come "uno straordinario provider di rapporti sociali", dando vita a una "attitudine ad alimentare formazioni sociali e a 'linkare' affinità elettive distanziate spazio-temporalmente", le quali "inducono a riflettere sulla crescente affermazione della comunicazione on line come spazio elettivo di quel movimento verso la soggettività e la pluralizzazione" [17] che è proprio dell'epoca attuale.

Se sono queste le coordinate che definiscono il fenomeno Internet, è allora evidente che esse si configurano, per citare ancora Morcellini, come la risultante "di un parallelogramma di forze in cui diversi livelli tecnologici, economici e sociali interagiscono in maniera aperta e oggi comunque imprevedibile". [18] E se si vuol proseguire con questa metafora, si può rilevare come queste forze siano da un lato di tipo endogeno, determinate cioè da tutte quelle entità che trovano spazio all'interno della rete e ne definiscono la struttura, dall'altro di tipo esogeno, rappresentate dalle molteplici influenze che Internet esercita sul mondo esterno, e dunque dalle trasformazioni che produce sulla realtà socioeconomica.

Di quest'ultima dimensione si è parlato in precedenza, individuando negli studi di Castells e nell'avvento della network science i momenti più fecondi di sintesi epistemologica e culturale. La prima categoria appare invece costituita da tutte quelle realtà che fanno di Internet un grande "contenitore di fenomeni", e che si manifestano nel momento in cui la rete è utilizzata non solo come un "canale" per la comunicazione e lo scambio interpersonale, ma come una vera e propria "casa comune", in cui si può partecipare a una quantità di aggregazioni, intervenire su una pluralità di argomenti, approfondire una vasta gamma di problemi e punti di vista.

Si tratta di una dimensione che ha fortemente condizionato la natura di Internet: ci riferiamo alle comunità virtuali, ossia a quel complesso di gruppi, associazioni o individui che utilizzano la rete per condividere interessi, attitudini e stili di vita: infatti è proprio l'ambiente telematico che ha permesso a queste comunità di stabilire rapporti non più basati sulla contiguità fisica o territoriale, ma sui contenuti, le tendenze o gli stili di vita, e la cui diffusione è stata possibile proprio grazie alle potenzialità di Internet; come scrivono Peter Kollock e Marc Smith,

usando gli strumenti d'interazione di rete come la posta elettronica, le chat o le liste di discussione, le persone hanno costituito migliaia di gruppi per discutere di una quantità di argomenti, per fare giochi di ruolo, per intrattenersi reciprocamente, e anche per lavorare su una gamma di progetti collettivi complessi. Siamo insomma di fronte non solo a media di comunicazione, ma a veri e propri media di gruppo, che sostengono e supportano una serie di interazioni da molti a molti. [19]

La rete dunque si è popolata di una miriade di comunità, in grado di riflettere le molteplici istanze provenienti dall'ambiente esterno, e di rispondere in modo peculiare agli stimoli e alle sollecitazioni che di volta in volta si manifestano. Tale situazione sembra confermare il punto di vista di quegli osservatori [20] secondo i quali Internet si configura come una sorta un mondo parallelo, [21] in cui la realtà quotidiana viene tradotta in entità immateriali, in dati incorporei, in informazioni virtuali.

Secondo i sostenitori di questa tesi, insomma, siamo di fronte a una vera e propria smaterializzazione del reale, che comporta rilevanti conseguenze "in tutti campi dell'agire e del sapere sociale, penetrando sia nelle relazioni 'macrosistemiche', sia negli spazi della quotidianità dei singoli individui". [22] Ciò dà vita a profondi mutamenti nella percezione della realtà, [23] se è vero che il mondo fenomenico sembra sfumare verso prospettive virtuali o, se si preferisce, verso una "tendenziale subordinazione degli aspetti strettamente fisici a processi di simbolizzazione, codificazione e astrattizzazione". [24]

A ridosso del nuovo millennio, infatti, si assiste a un'ampia diffusione di questa idea del virtuale e di quella, ad essa collegata, del ciberspazio, vale a dire quella dimensione – tecnologica, culturale ed emotiva ad un tempo – creata dalle reti telematiche e nella quale hanno luogo tutti i fenomeni tipici di quel mondo parallelo che sarebbe dato appunto dallo spazio virtuale delle reti. [25]

Ed è interessante osservare come questi concetti abbiamo acquisito connotazioni quasi palingenetiche, legate a ipotetiche capacità di redenzione della rete: [26] non è un caso, scrivono infatti Michela Nacci e Peppino Ortoleva, se il termine cyberspace, coniato dallo scrittore di fantascienza William Gibson, [27] abbia dato il nome al movimento letterario-politico-informatico del cyberpunk il quale, "al di là dei miti tra il fantascientifico e il regressivo che esplora nella sua elaborazione letteraria", si caratterizza anche "per una sua connotazione ideologica ingenuamente anarchica e libertaria, in cui prevale un'idealizzazione assoluta e acritica delle potenzialità liberatorie che sarebbero insite nella rete in quanto tale". [28]

3. Un'idea della rete fra apocalittici e integrati

Ma anche al di là di questi posizioni, non v'è dubbio che l'idea di un universo alternativo a quello fisico, costituito da entità che assumono veste immateriale e vanno a popolare il ciberspazio, ha avuto un notevole impatto sull'immaginario collettivo, dando vita a diverse linee di pensiero, volte da un lato a un'entusiastica accettazione, dall'altro a un radicale rifiuto di questi punti di vista. Difatti, se sono in molti coloro che hanno manifestato atteggiamenti schiettamente apologetici nei confronti della rete, proclamando le qualità salvifiche e quasi taumaturgiche da cui sarebbe avvolta, altrettanto numerosi sono quelli che si sono rivolti ad essa in termini assai critici, accusandola di produrre effetti quanto mai negativi sulla società, la cultura e la vita quotidiana. [29]

E una rassegna di queste opinioni non può non partire da Clifford Stoll, la cui parabola è esemplare dell'impatto che la nuova dimensione tecnologica può avere sulla sensibilità e sulla psiche degli individui. Stoll infatti non è un sociologo o uno studioso di mass-media bensì un astronomo che, prima di diventare docente all'università di Berkeley, è stato anche programmatore di computer e amministratore di sistemi informatici; in tale veste dunque ha avuto intime frequentazioni con la rete, ma le ha improvvisamente voltato le spalle, denunciando in una serie di vibranti pamphlet la sua natura intrinsecamente nociva e avversa a una reale estensione delle capacità umane. [30]

Moltissime infatti sono le accuse che l'autore rivolge a Internet, ad esempio quando sostiene che la rete è in grado di coniugare la velocità con l'economicità ma non certo con la qualità, da cui ne inferisce che l'intero web altro non è che un immenso centro commerciale, un vero e proprio "McDonald's dell'informazione", in cui la miriade di dati e di notizie vengono divorate senza alcun approfondimento critico.

Con analoghe argomentazioni Stoll si dice convinto dell'inutilità (anzi, del danno) delle nuove tecnologie per il settore dell'istruzione, affermando che una buona scuola non ha bisogno dei computer, e che una scuola mediocre non potrà trarre alcun vantaggio dal più veloce dei collegamenti; e a sostegno di questa tesi egli adotta motivazioni che vanno dai costi elevati delle attrezzature informatiche alla loro capacità di distogliere docenti e discenti dalla reale missione dell'istituzione scolastica, senza peraltro esimersi dal lanciare vibranti critiche all'idea di ipertesto, che gli appare oltremodo semplificatoria, e quindi inefficace sotto il profilo educativo e didattico.

Anche dal punto di vista della comunicazione l'autore giudica in modo assai negativo gli effetti della rete: citando alcuni dati ottenuti da un numero (peraltro limitato) di studi, Stoll afferma che Internet, per quanto sia una tecnologia nata per la comunicazione, conduce in realtà a una diminuzione del coinvolgimento sociale e del benessere psicologico, provocando fenomeni di alienazione e di solitudine che si moltiplicano con l'aumentare delle connessioni di rete.

Questi fenomeni risultano amplificati dall'uso eccessivo della posta elettronica e degli altri strumenti di Internet, il cui utilizzo dà vita a una vera e propria degenerazione delle interazioni sociali, che poi è abilmente sfruttata da tutte quelle istanze di natura commerciale di cui la rete è ormai preda. Ed è per questo che l'autore accoglie per sé la definizione di luddista, affermando che solo attraverso reazioni di questo tipo è possibile opporsi alla marea montante della tecnocrazia, e rispondere in modo adeguato ai cliché che costituiscono il bagaglio – ideologico ed economico insieme – dell'odierna realtà digitale.

Su altri e ben più solidi presupposti riposa invece l'analisi dell'urbanista e filosofo Tomás Maldonado, da anni impegnato in una serrata analisi delle strutture concettuali che definiscono la società odierna, e che ora viene estesa al mondo delle tecnologie e ai loro effetti sulla realtà contemporanea. Così, in un volume non a caso intitolato Reale e virtuale, l'autore dà vita a un interessante percorso che prende in esame non solo le tecniche ma anche le scienze e le arti, soffermandosi in particolare su quelle teorie – come ad esempio la meccanica quantistica – che sembrano mettere in dubbio la tradizionale visione di una realtà materiale unica e immodificabile.

Difatti l'ipotesi che lo studioso intende verificare è se sia davvero "credibile, nel senso di verosimile, che la nostra realtà futura diventerà un mondo costituito solo di presenze ineffabili, un mondo privo di materialità e fisicità". [31] Si tratta di un quesito, precisa l'autore, a cui rispondono in maniera affermativa un buon numero di osservatori, convinti che le trasformazioni in atto siano dovute alla presenza di artifici tecnologici (fra cui, in primo luogo, la realtà virtuale [32]) che sembrano dar vita a un vero e proprio dissolvimento delle componenti fisiche, le quali vengono via via assimilate alla dimensione immateriale che è propria delle tecnologie digitali.

È dunque evidente, prosegue Maldonado, che sostenere questo punto di vista significa postulare l'esistenza di una realtà sempre più incorporea, nella quale vengono trasferite tutte le istanze finora legate al mondo fisico; ciò può avvenire perché le possibilità offerte dalle nuove tecnologie – ed in particolare dalla realtà virtuale – sono intese come

il presunto "anello mancante" di una altrettanto presunta catena probatoria destinata a dimostrare, da un lato, che il mondo reale è un'illusione, dall'altro, che solo il mondo illusorio (appunto virtuale!) è reale. Insomma, la realtà virtuale alla quale, per pura convenzione, e in mancanza di meglio, si era ritenuto necessario dare questo nome, viene d'improvviso presa alla lettera, facendola diventare il centro di un programma di radicale agnosticismo e solipsismo filosofico. [33]

Tale visione è vigorosamente respinta da Maldonado, per il quale è un grave errore confondere le capacità euristiche connesse a queste tecnologie con la loro trasposizione a un livello meta-materiale, nel quale si svilupperebbero possibilità di gran lunga più vantaggiose di quelle del mondo fenomenico; a parere dello studioso infatti ciò che va rifiutato è proprio questa "idea del virtuale come tecnica per 'uscire dal mondo'", e dunque la visione secondo cui "la realtà sia soltanto una spregevole illusione e che, illusione per illusione, sia da preferire la realtà virtuale". [34]

Il medesimo approccio critico è adottato dall'autore in un successivo saggio, significativamente intitolato Critica della ragione informatica, [35] nel quale l'indagine viene estesa all'intera gamma dei fenomeni indotti dalle tecnologie digitali, ed in particolare alle istanze democratiche, egualitarie e progressiste di cui queste ultime sarebbero portatrici. E anche se Maldonado non esclude che alcune articolazioni di Internet – come ad esempio le reti civiche [36] – possano effettivamente contribuire a un'ampliamento della partecipazione alla vita sociale, egli tuttavia nega che ciò possa far nascere quella democrazia globale che, secondo alcuni, avrebbe luogo nella nuova dimensione del ciberspazio.

Per contro, lo studioso ritiene che le tecnologie digitali siano in grado di produrre un notevole indebolimento delle capacità partecipative, in quanto queste tecnologie mettono in atto una serie di controlli (o di vere e proprie censure) che ostacolano fortemente l'interazione fra gli individui e la cosa pubblica. In ogni caso, l'infrastruttura tecnologica non sarà in grado di influire – se non in modo assai blando – sui comportamenti e le attitudini degli individui: difatti, afferma lo studioso,

noi non siamo totalmente autonomi in quanto attori sociali che partecipano di quel processo; l'idea che gli attori sociali siano completamente autonomi, che entrano in rete senza aver niente alle spalle, è un'astrazione totale! Noi entriamo in rete con determinate istanze che preferiamo o che rifiutiamo, con un nostro bagaglio di autocontrollo, di autocensura. Pertanto, non si tratta solamente del problema del controllo che ci viene dall'esterno, ma anche del controllo che noi stessi, con la nostra cultura, portiamo dentro alla rete. [37]

A parere dell'autore dunque le tecnologie digitali, per quanto connotate da un'indebita funzione di controllo, non riescono a condizionare le scelte degli individui, dal momento che a questi ultimi è garantita una serie di possibilità che nascono nel mondo reale e che ad esso sono strettamente associate. E se le opinioni di Maldonado risultano fortemente critiche nei riguardi una certa maniera di guardare alle nuove tecnologie, vediamo che ancora più severe (per non dire apocalittiche) appaiono le posizioni di un altro urbanista-filosofo, e cioè Paul Virilio.

In una serie di studi sui fenomeni che condizionano il mondo contemporaneo, [38] Virilio si dice infatti convinto che le tecnologie digitali abbiano tutte le capacità per accrescere le facoltà umane; esse però vengono usate in maniera irrazionale e abnorme, dando vita a un consistente depotenziamento di queste facoltà, e questo modifica in termini negativi le attitudini psicologiche e percettuali degli individui. Dunque è proprio l'immersione in un mondo dominato dalle tecnologie digitali a dar vita a quella "confusione fra reale e virtuale" che, a parere dell'autore, fa perdere i tradizionali punti di riferimento che consentono di rimanere ancorati al mondo fenomenico.

Ciò a cui assistiamo, sostiene insomma Virilio, è un continuo spostamento verso il virtuale, cosa che produce un effettivo sdoppiamento della realtà, in quanto alla dimensione fisica se ne contrappone un'altra, immateriale e illusoria, che è appunto quella creata dal virtuale e dalle reti: un'ipotesi, come si è visto, vigorosamente contestata da Maldonado, e che viene invece accredita da Virilio, anche se con accenti fortemente critici perché connotata da valenze negative e persino patologiche. Una prospettiva del genere, prosegue infatti l'autore, rischia di farci precipitare in una situazione di disordine e di caos, come testimonia il fatto che le persone più a contatto con gli ambienti telematici rischiano di perdere il senso della realtà, manifestando un'estrema incertezza su ciò che esiste concretamente e ciò che invece è solamente virtuale.

Ma al là di queste considerazioni, ciò che più conta nell'analisi di Virilio è l'idea di una profonda trasformazione del reale indotta dalle nuove tecnologie, che spingono gli individui ad abbandonare la dimensione materiale e a rivolgersi al mondo virtuale: un mondo, come si è visto, che non è per nulla benefico, perché chi lo frequenta va incontro a un indebolimento – se non a una vera e propria regressione – delle proprie facoltà.

Siamo di fronte a un atteggiamento che, se da un lato sembra riconoscere la funzione trainante delle tecnologie, dall'altro porta a una loro decisa condanna: un atteggiamento, come si è visto, che è condiviso da una molteplicità di osservatori, e che ha il suo reciproco nella visione quanti accolgono in maniera entusiastica la prospettiva tecnologica, riconoscendo in essa lo strumento d'elezione per un cambiamento generalizzato della società, e dando origine a posizioni orientate a un rigido determinismo.

E fra i rappresentanti più noti di questa linea di pensiero vi è senz'altro Nicholas Negroponte che, nella sua veste di direttore del Media Lab, il gruppo di ricerca sulle nuove tecnologie del Massachussetts Institute of Technology, ha spinto a livelli estremi la propria fede nell'avvento di un mondo totalmente virtualizzato. Negroponte infatti sostiene che l'epoca odierna è caratterizzata da una forma tecnologica – quella legata appunto al digitale – che condurrà a una rapida e totale riconversione di ogni attività umana. A parere dell'autore infatti tutte le manifestazioni del reale sono contrassegnate dal "passaggio dagli atomi ai bit", [39] ossia da una prospettiva squisitamente fisica ad una sempre più incorporea; si tratta, sostiene lo studioso, di una evoluzione "irreversibile e inarrestabile", che è all'origine di cambiamenti davvero radicali:

aumentando le interconnessioni tra gli individui, molti dei valori propri dello stato nazione lasceranno il passo a quelli di comunità elettroniche, grandi o piccole che siano. Socializzeremo con un vicinato digitale dove lo spazio fisico sarà irrilevante e il tempo giocherà un ruolo differente. Fra 20 anni, guardando fuori della finestra, potrete vedere qualcosa distante da voi cinquemila miglia e sei fusi orari. Un'ora di televisione può essere mandata a casa vostra in meno di un secondo. Un reportage sulla Patagonia potrà darvi la sensazione di andarci di persona. Un libro scritto da William Buckley potrà essere una conversazione con lui. [40]

Negroponte dunque nega validità ai tradizionali supporti dell'informazione, giungendo a sostenere che "nel mondo digitale il mezzo non è più il messaggio", dal momento che "gli stessi bit potranno essere visti dallo spettatore secondo prospettive diverse. E la convinzione di un imminente passaggio a una realtà tutta immateriale spinge lo studioso ad avventurarsi in un'ardita quanto generica teoria del cambiamento sociale, che non solo non è sostenuta da evidenze empiriche, ma che anche sotto un profilo divulgativo appare quanto mai improvvisata e sommaria.

Al giorno d'oggi, scrive infatti Negroponte, stiamo entrando in una nuova era "che possiamo chiamare della post-informazione"; difatti la precedente età dell'informazione si è caratterizzata per la presenza di forme di comunicazione – tipicamente quelle dei network televisivi o della grande stampa – che "hanno raggiunto un pubblico sempre più vasto e allargato il sistema di telediffusione". [41] Ciò ha dato vita a quello che Negroponte definisce narrowcasting, ossia un tipo di "comunicazione focalizzata, diretta ad aree ristrette di utenti"; oggi invece,

nell'era post-informazione, il pubblico spesso si riduce a una persona sola. Ogni cosa viene fatta su ordinazione e l'informazione è estremamente personalizzata. In termini generali, si può dire che viene portato all'estremo il concetto di narrowcasting, ossia di comunicazione focalizzata dell'epoca precedente: dal grande pubblico si va verso gruppi sempre più piccoli, per arrivare infine al singolo individuo. [42]

Ora, ci pare evidente che Negroponte si concentri sulla sola dimensione delle telecomunicazioni tradizionali, trascurando l'impatto delle reti telematiche e dei profondi cambiamenti a cui queste hanno dato vita. Ciò nonostante, l'opinione dell'autore contiene almeno un elemento di interesse: difatti, sia pur in modo inconsapevole, Negroponte mette in luce uno dei fenomeni che con più forza caratterizzanno la realtà odierna, e cioè quello della disintermediazione, vale a dire la tendenza a "bypassare" il convenzionale ruolo di raccordo fra le informazioni e gli utenti tipicamente assolto dalle biblioteche, e a sostituirlo con una gamma di servizi, strumenti e interfacce che consentono di utilizzare in modo autonomo le risorse informative. E tuttavia Negroponte non sembra comprendere le implicazioni contenute nella sua analisi, lanciandosi invece in una scontata quanto superficiale previsione di un futuro sempre più tecnologico e virtualizzato:

era post-informazione significa una conoscenza che si estende nel tempo: macchine che capiscano le persone con lo stesso livello (se non maggiore) di perspicacia che possiamo aspettarci dagli esseri umani, macchine che tengano conto delle piccole manie individuali (come quelle per le camicie a righe blu) e dei fatti del tutto casuali, buoni o cattivi, che fanno parte della nostra vita di ogni giorno. [43]

Posizioni altrettanto radicali, per quanto espresse in termini assai meno approssimativi e sulla base di più solidi presupposti concettuali, sono quelle che informano l'analisi di Derrick De Kerckhove, lo studioso cioè che è considerato l'erede di Marshall McLuhan e il suo più fedele continuatore. E se si tiene conto di queste ascendenze, non desta sorpresa notare come De Kerckhove riprenda dal sociologo canadese non solo la peculiare forma espressiva, fatta di frasi brevi e a effetto, ma anche il tipico approccio "di superficie", teso a esplorare una quantità di fenomeni in maniera quanto mai fulminea, volendo trasmettere una serie di impressioni – quasi delle istantanee – sulla varietà e la complessità delle situazioni prese in esame. [44]

Così, dopo aver analizzato l'impatto psicologico esercitato dalle tecnologie elettroniche (le quali, à la McLuhan, si configurano come vere e proprie "estensioni" delle facoltà mentali), l'autore passa a trattare del loro influsso sulla realtà contemporanea, sostenendo che i nuovi strumenti digitali, attraverso i loro possenti apparati tecnici, sono in grado di portare un attacco sempre più vigoroso al mondo come lo abbiamo finora concepito.

È dunque una forte accentuazione della variabile tecnologica quella che lo studioso pone a fondamento tanto delle trasformazioni di natura percettuale, quanto dei più vasti cambiamenti culturali e sociali; difatti non è un caso se De Kerchkove parli da un lato di "tecnopsicologie", termine che designa "la condizione psicologica delle persone sotto l'effetto delle innovazioni tecnologiche", dall'altro di "psicotecnologie", con il quale indica invece "qualsiasi tecnologia emuli, estenda o amplifichi il potere della nostra mente". [45]

E sono proprio queste ultime a determinare gli effetti più rilevanti, dal momento che "l'aumento delle psicotecnologie e dell'elaborazione delle informazioni si è gradualmente trasferito dall'universo privato della mente umana" allo "schermo del computer, attraverso modalità attive bidirezionali" che consentono una "immersione totale" [46] in quella nuova dimensione, ipertecnologica e globalizzata, che De Kerckhove chiama cybercultura:

cybercultura significa vedere "attraverso": vediamo attraverso la materia, lo spazio e perfino il tempo con le tecniche di recupero delle informazioni. Tutte le volte che una tecnologia ci fornisce un accesso fisico e mentale a qualche luogo sulla terra o nelle profondità dello spazio, oltre ogni limite precedente, la mente segue. La psicologia deve quindi evolversi con la tecnologia. Quando viaggiamo fisicamente per lavoro o per piacere, noi siamo racchiusi nella sfera globale. Ma quando pensiamo globalmente e mandiamo o riceviamo informazioni dai nostri uffici, è la Terra ad essere racchiusa in una rete, e nella mente. Le informazioni che applichiamo a questa struttura interna fanno parte di un pensiero globale e di un'attività globale. Come forma di espansione della mente e struttura di riferimento, la globalizzazione è una delle condizioni psicologiche della cybercultura. [47]

Se dunque Negroponte e DeKerckhove presentano opinioni decisamente totalizzanti, su presupposti ben diversi riposa l'analisi dello studioso che più di ogni altro ha contribuito a divulgare le idee scaturite dall'avvento di Internet e delle reti telematiche: ci riferiamo ovviamente a Pierre Lévy. In una fitta serie di contributi, [48] l'autore dimostra di essere saldamente radicato alla tradizione filosofica occidentale, da cui attinge largamente per discutere di nozioni quali il virtuale, la cibercultura e l'intelligenza collettiva.

E in questo percorso, la prima preoccupazione dello studioso è volta a dimostrare come il concetto di virtuale non si contrapponga affatto a quello di reale, e che l'idea di "virtualizzazione" non ha nulla in comune con quella di smaterializzazione (come invece pensano Virilio da un lato e De Kerckhove dall'altro), e da ciò deduce un essenziale corollario, che consiste nella negazione dell'esistenza di un duplicato immateriale del mondo fenomenico.

Per dimostrare la non opposizione tra reale e virtuale Lévy ricorre all'etimologia, rilevando come il termine "virtuale" provenga dal latino virtus (che significa forza, vigore), ripreso poi nell'aggettivo virtualis, adoperato dalla filosofia scolastica per indicare "ciò che esiste in potenza e non in atto": e per quanto nel linguaggio comune il concetto di virtuale sia inteso come qualcosa di illusorio e di effimero, per l'autore è indubbio che esso porti in sé un'idea di "esistenza potenziale", ossia di qualcosa che non ha ancora manifestato la sua presenza.

Gli esempi che propone Lévy lo dimostrano in modo palese: è noto infatti che l'uovo è un'entità concreta, materiale, tangibile, mentre la gallina che ne nascerà è una presenza differita, per quanto sia virtualmente presente nell'uovo; allo stesso modo è evidente che l'albero sia virtualmente presente nel seme, mentre è la sua manifestazione concreta ad essere differita. È dunque in tal senso, sostiene lo studioso, che il virtuale è in opposizione non già al reale (e cioè al mondo fenomenico), ma all'"attuale", all'hic et nunc, a quella dimensione che si configura come qualcosa di "statico e già costituito". [49]

Una volta dimostrata la differenza fra l'idea di virtualità quella di immaterialità, Lévy può dunque motivare la sua tesi secondo cui l'epoca odierna è interamente condizionata dalla categoria del virtuale, che non appare soltanto come un diverso modo di essere rispetto alla condizione di "attualità" nella quale siamo immersi, ma come qualcosa di superiore, di assai più significativo e potente: a parere dello studioso infatti questo "passaggio dall'attuale al virtuale" avviene attraverso un "elevamento a potenza" delle possibilità che caratterizzano la dimensione attuale; ciò tuttavia non dà origine ad una "derealizzazione", ossia ad una "trasformazione della realtà in un insieme di possibili", ma ad "un cambiamento di identità, ad uno spostamento del centro di gravità ontologico dell'oggetto in questione". [50]

In un linguaggio squisitamente filosofico, Lévy ribadisce insomma la sua avversione a tutte le teorie volte a sostenere l'identità tra immateriale e virtuale (affermando che non siamo di fronte ad una "derealizzazione", a un depotenziamento della realtà fenomenica), ma allo stesso tempo mette in luce come il virtuale sia in grado di dar vita a processi evolutivi particolarmente avanzati, dal momento che si manifesta come "un modo di essere fecondo e possente, che concede margini ai processi di creazione, schiude prospettive future, scava pozzi di senso al di sotto della piattezza della presenza fisica immediata". [51]

Il distacco dall'hic et nunc dell'esistenza quotidiana, e il conseguente passaggio alla nuova dimensione del virtuale, garantisce dunque la liberazione delle energie creative e l'emancipazione dai lacci e dalle costrizioni dell'attualità. Molteplici e assai rilevanti sono le conseguenze che questa transizione determina sui diversi aspetti del mondo fenomenico: a partire da quelle squisitamente "somatiche" (è lo stesso corpo umano a trasformarsi, non perché si smaterializza o si disincarna, ma perché si reinventa e si moltiplica nel contatto con una quantità di "organismi virtuali che arricchiscono il nostro universo sensibile senza causarci dolore"); passando per quelle documentarie (di particolare interesse è il discorso sulla "virtualizzazione del testo" il quale, "risalendo la china dell'attualizzazione" – ossia le varie fasi che dall'invenzione della scrittura hanno portato alla realtà odierna – conduce a quel cambiamento epocale che trasforma il testo in ipertesto); per arrivare infine a quelle economiche, in quanto l'economia tradizionale subisce sostanziali modifiche attraverso la deterritorializzazione e la virtualizzazione dei suoi processi. [52]

Se dunque il virtuale costituisce il fondamento di una nuova prospettiva socioculturale, vediamo come lo studioso vi associ un'altra, fondamentale nozione, quella di intelligenza collettiva, ossia l'insieme delle facoltà intellettive che sono in grado di manifestarsi ed esprimersi grazie alle tecnologie digitali e a Internet in particolare: a parere di Lévy infatti è proprio la dimensione delle reti che consente la messa in comune di un patrimonio cognitivo senza precedenti, e che dà vita a una koiné particolarmente feconda, essendo basata su una mescolanza di conoscenze, esperienze e capacità.

Secondo l'autore quindi non ha senso parlare di virtualità senza tener conto delle straordinarie possibilità delle nuove tecnologie, che modificano il nostro rapporto con il sapere attraverso una costante accelerazione dei diversi processi cognitivi; ed è per questo che oggi ci confrontiamo con un "mondo virtuale che esprime un'intelligenza o un'immaginazione collettiva", e che a sua volta "illumina gli individui e i gruppi che hanno contribuito alla sua nascita, li arricchisce della propria varietà e li apre a nuove possibilità". [53] Questa intelligenza, prosegue Lévy,

può essere valorizzata al massimo mediante le nuove tecniche, soprattutto mettendola in sinergia; oggi, se due persone distanti sanno due cose complementari, per il tramite delle nuove tecnologie, possono davvero entrare in comunicazione l'una con l'altra, scambiare il loro sapere, cooperare. Detto in modo assai generale, per grandi linee, è questa in fondo l'intelligenza collettiva. [54]

Non v'è dubbio che il luogo in cui si manifesta questa nuova capacità intellettiva sia il ciberspazio, cioè la dimensione virtuale creata dalle reti telematiche: un fenomeno, a parere dell'autore, che "ha sorpreso quasi tutti per la sua rapidità e potenza", anche se costituisce solo "l'inizio di una lunga evoluzione", essendo possibile scorgervi "la fioritura di un'intelligenza collettiva del genere umano". [55] Ed è interessante sottolineare come nell'opinione di Lévy la nozione di ciberspazio sia scevra da sovrastrutture ideologiche o connotazioni misticheggianti, configurandosi invece come il luogo della comunicazione mediata dal computer:

che cos'è il ciberspazio? cerchiamo di definirlo sinteticamente: è l'interconnessione fra tutti i computer del mondo. Sul piano fisico, questa interconnessione passa principalmente per la rete telefonica. Ora, l'interconnessione fisica fra le macchine implica, virtualmente, la messa in comune delle informazioni immagazzinate nelle loro memorie e il contatto fra tutti gli individui e i gruppi che si trovano davanti ai loro schermi. Per questo motivo il ciberspazio […] è uno spazio di comunicazione dotato di caratteristiche radicalmente nuove. Internet in senso proprio si fonda su una norma di comunicazione che consente la collaborazione fra macchine e reti disparate. [56]

Dunque l'analisi di Lévy converge in maniera inequivoca sulla dimensione della rete, intesa non già come una nebulosa entità metafisica o un ambiguo duplicato del mondo reale, ma come una ben definita infrastruttura tecnica, in grado di dar vita a inedite potenzialità proprio grazie agli elevati livelli di connessione che è riuscita a stabilire; ma allo stesso tempo è evidente che la sua indagine tenda a esaltare una prospettiva che appare decisamente ottimistica, dal momento che descrive solo una faccia dell'odierna realtà – quella illuminata dalla fiamma del virtuale, riscaldata dal fuoco dell'intelligenza collettiva, immersa in nell'ecuméne della cibercultura – senza riuscire a coglierne i problemi e le contraddizioni che così profondamente l'attraversano.

In conclusione di questo excursus, occorre rilevare che termini quali virtuale, ciberspazio e intelligenza collettiva sono entrati nel linguaggio comune, spesso impiegati in modo improprio se non banale, e alla fine superati da altri quali web 2.0, blog, social network, realtà aumentata e così via: tutti termini che veicolano concetti altrettanto importanti, di cui si nutre la società attuale, ma che trovano la loro origine nelle trasformazioni avvenute oltre sessant'anni fa, quando si sono poste le basi dell'odierna dimensione tecnologica, culturale e sociale.

Michele Santoro, Biblioteca Interdipartimentale di Matematica, Fisica, Astronomia e Informatica - Università di Bologna, e-mail: michele.santoro@unibo.it


Note

* Il presente testo costituisce una rielaborazione di alcune tematiche già affrontate nel volume Biblioteche e innovazione. Le sfide del nuovo millennio, Milano, Editrice Bibliografica, 2006. Salvo diversa indicazione, la traduzione di brani da testi stranieri è nostra. La funzionalità dei legami ai siti Internet è controllata al 31 marzo 2014.

[1] Krishan Kumar, Le nuove teorie del mondo contemporaneo. Dalla società post-industriale alla società post-moderna, Torino, Einaudi, 2000, p. 14.

[2] Il rapporto, pubblicato l'anno successivo con lo stesso titolo, è stato successivamente tradotto con il titolo di Convivere con il calcolatore. Per la nostra analisi faremo riferimento alla seconda edizione dell'opera, edita a Milano da Bompiani nel 1984.

[3] Simon Nora - Alain Minc, Convivere con il calcolatore, cit., p. 23.

[4] Ibid., p. 23-24; p. 31.

[5] Ricordiamo ad esempio la rete accademica inglese Janet, o l'americana Fidonet, destinata essenzialmente alla comunicazione interpersonale, o a la speciale esperienza francese basata su uno strumento come il Minitel.

[6] Manuel Castells, The information age. Economy, society and culture: Volume I, The rise of the network society (1996); Volume II, The power of identity (1997); Volume III: End of millennium (1998). I tre volumi sono stati tradotti in italiano dalla Università Bocconi Editore con i titoli di La nascita della società in rete (2002); Il potere delle identità (2003); Volgere di Millennio (2003).

[7] Tesi sostenuta in particolare dal sociologo americano Daniel Bell, la cui opera principale è The coming of post-industrial society. A venture in social forecasting, New York, Basic Books, 1973.

[8] Manuel Castells, La nascita della società in rete, cit., p. 21.

[9] Manuel Castells, in Identity and change in the network society. Conversation with Manuel Castells, by Harry Kreisler, <http://globetrotter.berkeley.edu/people/Castells/castells-con0.html>.

[10] Ibid.

[11] Manuel Castell, La nascita della società in rete, cit., p. 535.

[12] Cfr. The knowledge society. The growing impact of scientific knowledge on social relations, edited by Gernot Böhme and Nico Stehr, Dordrecht, Reidel, 1986; Nico Stehr, Knowledge societies, London, Sage 1994; The culture and power of knowledge. Inquiries into contemporary societies, edited by Nico Stehr and Richard V. Ericson, Berlin, De Gruyter, 1992; Sheldon Ungar, Misplaced metaphor. A critical analysis of the "knowledge society", "The Canadian Review of Sociology and Anthropology", 40 (2003), 3, p. 331-347.

[13] Fra cui si veda Duncan J. Watts, Small worlds. The dynamics of networks between order and randomness, Princeton, Princeton University Press, 1999; Id., Six degrees. The science of a connected age, New York, Norton, 2003; Mark Buchanan, Nexus. Perché la natura, la società, l'economia, la comunicazione funzionano allo stesso modo, Milano, Mondadori, 2003; Albert-Lázló Barabási, Link. La nuova scienza delle reti, Torino, Einaudi, 2004.

[14] Manuel Castells, Galassia Internet, Milano, Feltrinelli, 2002.

[15] Ibid., p. 14.

[16] Mario Morcellini, Una rete sociologica sulla Rete, in Net sociology. Interazioni tra scienze sociali e Internet, a cura di Mario Morcellini e Antonella Giulia Pizzaleo, prefazione di Laura Balbo, postfazione di Alberto Abruzzese, Milano, Guerini e Associati, 2002, p. 17-18 (citazione leggermente modificata).

[17] Ibid., p. 33.

[18] Ibid., p. 28.

[19] Peter Kollock - Marc A. Smith, Communities in cyberspace, in Communities in cyberspace, edited by Marc A. Smith and Peter Kollock, London, Routledge, 1999, p. 3.

[20] Al riguardo si vedano ad esempio i contributi presenti in Cyberspace. Primi passi nella realtà virtuale, a cura di Michael Benedikt, Padova, Muzzio, 1993.

[21] Difatti, scrive Silvia Leonzi, "il cyberspazio non è semplicemente un luogo che si dispiega nelle reti telematiche, ma è una dimensione diversa, che emerge dall'interazione tra la realtà e le reti: una sorta di mondo parallelo, composto da una diversa sostanza, non meno reale di quella del mondo fisico. Il modello della Rete, grazie alle caratteristiche di virtualità, interattività, ipertestualità, sta contribuendo in misura notevole alla creazione di inedite mappe cognitive, caratterizzate da gradi differenti di queste stesse proprietà" (Silvia Leonzi, L'immaginario collettivo nell'era di Internet, in Net sociology. cit., p. 135).

[22] Ibid.

[23] "In un mondo virtuale ci troviamo all'interno di un ambiente di pura informazione che possiamo vedere, sentire e toccare. La tecnologia in sé è invisibile, e adattata attentamente all'attività umana al punto che siamo in grado di comportarci in modo naturale" (Meredith Bricken, Mondi virtuali: nessuna interfaccia da progettare, in Cyberspace. Primi passi nella realtà virtuale, cit., p. 377).

[24] Graziella Mazzoli - Giovanni Boccia Artieri, L'ambigua frontiera del virtuale. Uomini e tecnologie a confronto, Milano, Franco Angeli, 1994, p. 22.

[25] Pierre Lévy definisce il ciberspazio come "lo spazio di comunicazione aperto all'interconnessione mondiale dei computer e delle memorie informatiche. Questa definizione comprende l'insieme dei sistemi di comunicazione elettronici (incluso l'insieme delle reti hertziane e telefoniche classiche) nella misura in cui convogliano informazioni provenienti da fonti digitali o in via di digitalizzazione. Insisto sulla codifica digitale perché essa condiziona il carattere plastico, fluido, calcolabile e raffinatamente modificabile in tempo reale, ipertestuale, interattivo e per concludere virtuale dell'informazione che è, mi pare, il tratto distintivo del cyberspazio" (Pierre Lévy, Cybercultura. Gli usi sociali delle nuove tecnologie, Milano, Feltrinelli, 1999, p. 91).

[26] Per una lucida valutazione del fenomeno si rinvia a Piergiorgio Odifreddi, Cibercreduloni, "La Rivista dei Libri", 4 (1994), 5, p. 37-39; Id., In media stat virtus, "La Rivista dei Libri", 6, 1996, 3, p. 39-41.

[27] William Gibson, Neuromante, Milano, Editrice Nord, 1991.

[28] Michela Nacci - Peppino Ortoleva, Tecnica e progresso, "La Rivista dei Libri", 3 (1993), 9, p. 35-37.

[29] Per un'approfondimento di queste posizioni cfr. tra l'altro Fabio Metitieri, Democrazia elettronica. La rete ingrata, "Virtual", 2 (1994), 15, p. 16-19; Allucquére Rosanne Stone, Desiderio e tecnologia. Il problema dell'identità nell'era di Internet, Milano, Feltrinelli, 1997; Lisa Nakamura, Cybertypes. Race, ethnicity, and identity on the Internet, London, Routledge, 2002; Leslie Regan Shade, Gender & community in the social construction of the Internet, New York, Peter Lang, 2002.

[30] Clifford Stoll, Miracoli virtuali. Le false promesse di Internet e delle autostrade dell'informazione, Milano, Garzanti, 1996; Confessioni di un eretico high-tech, postfazione di Raffaele Simone, Milano, Garzanti, 2001 (sulla copertina di quest'ultimo volume si legge: Perché i computer nelle scuole non servono e altre considerazioni sulle nuove tecnologie).

[31] Tomás Maldonado, Reale e virtuale, Milano, Feltrinelli, 1993, p. 11.

[32] Per realtà virtuale, com'è noto, s'intende uno spazio tridimensionale, generato dal computer e da questo modellato, in cui un soggetto, munito di particolari strumenti di natura ottica, tattile e uditiva, può in qualche modo entrare ed esplorare dall'interno, interagendo con tutte le situazioni che in tale dimensione si possono manifestare. Si veda ad esempio Jerry Isdale, Che cos'è la realtà virtuale, introduzione di Andrea Aparo, Roma, Theoria, 1995; Bernard Jolivalt, La realtà virtuale, presentazione di Gianpiero Gamaleri, Roma, Armando, 1999.

[33] Tomás Maldonado, Possiamo vivere in un sogno ma alla fine dobbiamo svegliarci, "Telèma", 16 (1999), disponibile all'indirizzo <http://web.archive.org/web/20001118215400/http://www.fub.it/telema/TELEMA16/Maldon16.html>.

[34] Ibid.

[35] Tomás Maldonado, Critica della ragione informatica, Milano, Feltrinelli, 1997.

[36] "Per rete civica si intende un sistema informativo telematico, riferito ad un'area geograficamente delimitata (comune, area metropolitana, provincia, comunità montana etc.), al quale possano partecipare in modo attivo, ossia come produttori di informazioni oltre che fruitori, tutti i soggetti presenti nell'area stessa: enti locali e altre istituzioni, sindacati, associazioni, imprese, cittadini" (Osservatorio reti civiche, maggio 1999, <http://www.citinv.it/ossreti/civiche/docs/index.htm>).

[37] Tomás Maldonado, Web: se c'è una ragnatela, dev'esserci un ragno, "Mediamente", 26 novembre 1997, <http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/m/maldonad.htm>.

[38] Paul Virilio, La bomba informatica, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2000; Id., L'incidente del futuro, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2002.

[39] Nicholas Negroponte, Essere digitali, Milano, Sperling & Kupfer, 1995, p. x.

[40] Ibid., p. xiii.

[41] Ibid., p. 169.

[42] Ibid., p. 170.

[43] Ibid., p. 171.

[44] Derrick De Kerckhove, Brainframes. Mente, tecnologia, mercato, a cura di Bruno Bassi, Bologna, Baskerville, 1993; La pelle della cultura. Un'indagine sulla nuova realtà elettronica, a cura di Christopher Dewdney, Genova, Costa & Nolan, 1996; L'architettura dell'intelligenza, prefazione di Antonino Saggio, Torino, Testo & Immagine, 2001.

[45] Ibid., p. 17-18.

[46] Ibid., p. 130.

[47] Ibid., p. 143.

[48] Pierre Lévy, Le tecnologie del'intelligenza. L'avvenire del pensiero nell'era dell'informatica, Bologna, Synergon, 1992; L'intelligenza collettiva. Per un'antropologia del cyberspazio, a cura di Donata Feroldi e Raf Scelsi, Milano, Feltrinelli, 1996; Il virtuale, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1997; Cybercultura, cit. Si vedano inoltre Evoluzione del concetto di sapere nell'era telematica, Venezia, 7/3/1997, <http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/l/levy02.htm>; L'intelligenza collettiva, Parigi, European IT Forum, 4/9/1995, <http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/l/levy.htm>; C'è una "intelligenza collettiva" nel futuro dell'evoluzione umana, <http://www.laboratorioeurisko.it/levy.html>; La comunicazione in rete? Universale e un po' marxista, Milano, 20/11/1997, <http://www.repubblica.it/online/internet/mediamente/pierrelevy/pierrelevy.html>; Massimiliano Cannata, Dal reale al virtuale: verso una nuova dimensione dell'essere. Intervista a Pierre Levy, <http://www.mediamente.rai.it/articoli/20011212a.asp>.

[49] Pierre Lévy, Il virtuale, cit., p. 6. Difatti, scrive l'autore, "volendosi attenere rigorosamente al ragionamento filosofico, il virtuale non si contrappone al reale ma all'attuale: virtualità e attualità sono solo due diversi modi di essere" (p. 5).

[50] Ibid., p. 8.

[51] Ibid., p. 2.

[52] Ibid., p. 43-71.

[53] Id., L'intelligenza collettiva (1996), cit., p. 108.

[54] Id., L'intelligenza collettiva (1995), cit.

[55] Id., C'è una "intelligenza collettiva" nel futuro dell'evoluzione umana, cit.

[56] Ibid.




«Bibliotime», anno XVII, numero 1 (marzo 2014)

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