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Musei, biblioteche e archivi: una convergenza possibile
Padova, 18 gennaio 2007

Le biblioteche

Giorgio Lotto, Biblioteca Civica Bertoliana, Vicenza


Non è certo proponibile tentare in questa sede una sintesi del percorso della cooperazione interbibliotecaria in Italia. Ciò che posso tentare, invece, augurandomi che risulti di una qualche utilità, è abbozzare alcune riflessioni che, facendo leva su quanto finora avvenuto nel settore, evidenzino possibili vie di crescita del servizio. Tanto più che si tratta di vie che, lo anticipo fin d'ora, concordemente con gli intenti di questa giornata di confronto, passano necessariamente anche per dialoghi più ampi, meno occasionali, per sintonie finora solo abbozzate, in particolare tra i diversi istituti della cultura e dell'informazione.
A cappello, mi si concedano, comunque, alcune note sulla storia di questa cooperazione, un fenomeno spesso oggetto di riflessioni in letteratura professionale, dimostratosi trainante rispetto allo sviluppo del servizio. Peraltro, a mio avviso, (non paia questa pura provocazione) si tratta anche di un fenomeno che richiede oggi di essere rivisto adottando soluzioni di maggior peso in grado di far fronte ad una domanda assai più qualificata nonché numericamente significativa di un tempo e, dall'altro ad un quadro normativo e di costi di gestione ben diverso da quello di un ieri in fondo così vicino.

Note di storia della cooperazione
La cooperazione interbibliotecaria non è presente nel dibattito biblioteconomico italiano sin dagli anni ottanta del XIX secolo com'è nel caso degli Stati Uniti dove da più di cent'anni è nella cultura professionale che sul piano bibliografico nessun istituto può fare da solo e che la condivisione delle risorse è conditio sine qua non per poter garantire buone offerte di servizio. Noi arriviamo a coniugare questo input negli anni sessanta del secolo scorso e il dibattito si innestò all'interno della più generale riflessione politica su centralismo e decentramento. Mi pare significativo sottolineare (come sottolineato da molti) il fatto che fu la nascita delle regioni, enti di programmazione del territorio che diede la stura a questa esperienza. Ciò a dire anche, da un lato, dell'importanza dell'idea di territorio rispetto alla cooperazione, dall'altro lato, del fatto che protagonisti di questa esperienza furono, più d'altri, e prima degli altri, gli enti locali.
Grande impulso la cooperazione interbibliotecaria ebbe con l'introduzione dell'automazione, anche se, come ricorda chi come Anna Galluzzi [1] ha cercato di scrivere la storia di questa esperienza, quasi l'unico obiettivo sentito per molti, troppi anni, è stato quello della costruzione di basi dati catalografiche e reti di prestito. In particolare per quelli a dimensione nazionale si è trattato e si tratta di progetti fondamentali per lo scambio informativo e di servizi tra le biblioteche.
Degli anni ottanta è l'avvio di SBN (ora promosso da MBAC, Regioni e Università), di gran lunga la maggiore esperienza di cooperazione italiana, una cooperazione, oltretutto, interistituzionale, ma alla quale ancor oggi si contesta quella fissità sul dato catalografico sopra accennata. Il catalogo del Servizio Bibliotecario Nazionale, come è noto, si propone come catalogo collettivo delle biblioteche italiane e raccoglie monografie antiche e moderne, periodici, musica, grafica e cartografia. E' consultabile in Internet 24 ore su 24. Vanno però ricordati anche il Censimento dei manoscritti (MANUS), nonché il censimento delle edizioni italiane del XVI secolo. Progetti più di collaborazione che di cooperazione, se vogliamo, che hanno dato grande rilievo al ruolo dell'Istituto Italiano per il Catalogo Unico. Va menzionato anche l'Archivio Collettivo Nazionale dei Periodici del CNR e dell'Università di Bologna, nato addirittura negli anni settanta e, ben più recenti, la Biblioteca Digitale Italiana ed il complementare Centri e-learning.
A livello locale, invece, in alcuni casi progetti di catalogo collettivo, dimostratisi comunque utili a supportare anche vivaci dialoghi cooperativi, lasciarono a desiderare per il basso livello qualitativo che li caratterizzava. Ben pochi, comunque, sono stati i casi di reti o sistemi (ed il discorso avrebbe potuto più facilmente riguardare le pubbliche) in cui si è puntato a cooperazioni capaci di improntare di sé l'intera azione, l'intera vita delle biblioteche. Pur mantenendo la riflessione all'interno degli istituti bibliotecari, anzi, in genere, agli istituti bibliotecari pubblici, a partire dagli anni ottanta il riflettore fu puntato anche sulla necessità di definire dei modelli; modelli, peraltro, con un respiro spesso regionale, per l'articolazione sul territorio di servizi bibliotecari integrati.

Con il 1989 arriva l'autonomia delle università. Fu la premessa per la ridefinizione degli aspetti strutturali degli atenei e la nascita, di lì a poco, dei sistemi bibliotecari interni agli stessi atenei. Del '92, anno di avvio del sistema centrale Indice, è anche l'accordo di programma che coinvolge le università in SBN. I livelli di cooperazione per le biblioteche delle università sono stati sostanzialmente due: uno all'interno del sistema di ateneo, l'altro trasversale tra gli atenei con carattere disciplinare. I temi sui quali si è mosso questo dialogo sono stati in particolare la possibilità di accedere a banche dati costose, la ricerca di economie di scala, sistemi condivisi di automazione, formazione del personale. L'evoluzione tecnologica, il digitale stanno negli ultimi tempi ampliando la cooperazione tra atenei determinando, anzi, la nascita di consorzi.
Come credo sia noto, la cooperazione ha interessato anche le scolastiche e le biblioteche speciali. Le prime si sono, in realtà, più spesso, coniugate con le pubbliche e con le stesse hanno dato vita a significative reti territoriali.
Più complessa la situazione che riguarda le speciali, da sempre in dialogo con le biblioteche della stessa area disciplinare. Parlando di speciali, comunque, e, per molti versi, anche di universitarie, è difficile, circoscrivere il fatto cooperativo all'interno dei confini nazionali. Si pensi con riferimento solo alle biomediche alle basi dati PubMed e BioMed. Si pensi, più in generale, alle recenti esperienze degli Open Archives.
Il tema dell'interistituzionalità, cioè il dialogo tra tipologie diverse di biblioteche ed il tema dei sistemi culturali e informativi integrati iniziano a comparire con evidenza alla fine degli anni Novanta, per quanto abbiano trovato finora scarsa applicazione. Nello stesso periodo si inizia a parlare anche di misurazione dell'efficienza e dell'efficacia delle reti, come pure appare un atteggiamento maggiormente critico rispetto alla cooperazione quale soluzione risolutiva dei problemi della gestione bibliotecaria. Si amplia anche la gamma di attività bibliotecarie coinvolte nella cooperazione.
Questi fatti, e la stessa presenza di scelte di cooperazione "ad assetto variabile", cioè su più fronti, permettono di comprendere come oggi la cooperazione che vede protagoniste le biblioteche richieda soggetti strutturalmente forti, professionalizzati, e non di piccola dimensione oltre ad una decisa revisione dei modelli, come detto in avvio.

La cooperazione che bisogna
Dopo più di 40 anni di esperienze, dietro a questo termine "cooperazione" si registra in genere un consenso generale. Peraltro il problema è divenuto quello di attribuirgli senso in fase applicativa, in linea con le esigenze di efficienza, di efficacia e di economicità, ancora di più in linea con una programmazione politica degli interventi culturali e informativi che è dovuta ma che, riflettendo sulla legislazione nazionale e regionale, non sempre è apparsa all'altezza della situazione in questi anni per ritardi e mancanza di coordinamento. Per contro, un documento significativo in questa direzione è rappresentato dalle Linee di politica bibliotecaria per le autonomie [2], documento approvato da Conferenza dei Presidenti delle Regioni, ANCI, UPI nel 2003. Si è trattato di un accordo condiviso con lo Stato, allo scopo di definire forme di coordinamento nazionale, che coinvolgano quindi anche le Biblioteche Pubbliche Statali, quelle attive negli Istituti Scolastici e quelle Universitarie. Ulteriori intese si proponevano anche con le Biblioteche Ecclesiastiche e con quelle delle istituzioni culturali pubbliche e private. In esso si afferma che i Comuni, le Province e le Regioni ritengono che la cooperazione territoriale debba essere la base di uno sviluppo programmato dei servizi bibliotecari, che possono conseguire adeguati risultati di efficienza e di efficacia solo se progettati e gestiti come reti di servizi differenziati e coordinati [3]. Dunque, cooperazione territoriale alla base di una articolazione che comprenda ogni altra forma di dialogo cooperativo.

La cooperazione che non c'e' Ma se la cooperazione è univocamente indicata come la chiave di volta per uno sviluppo strategico del servizio bibliotecario pubblico, dobbiamo purtroppo constatare che quella per la cooperazione non è una fede così professata nella quotidianità.
SBN copre circa 2.000 biblioteche, una percentuale ridotta, anche se significativa delle biblioteche italiane. E, fatta eccezione per SBN, molte sono le Regioni italiane, in particolare del Centro e del Sud, in cui non vi è traccia di dialoghi di cooperazione territoriale o nelle quali compare, al massimo, qualche tentativo di catalogo collettivo.
Rimanendo nel settore della pubblica amministrazione, si direbbe una mancanza da attribuire alla politica. Ma accuse mi sento di rivolgere anche ai responsabili tecnici delle biblioteche che non raramente vivono la paura di perdere l'autonomia, la difficoltà di lavorare per gli altri, l'idea che in fondo in fondo il gioco non valga la candela, che temono di dover investire soldi su altro quando non se ne ha neppure per la propria struttura, di permettere ad altre biblioteche di saccheggiare le proprie raccolte senza poter sempre contare sulla reciprocità. Accuse a parte, dobbiamo dire che quello della cooperazione è un settore in cui spesso ci si muove, magari con buona volontà, ma in modo "spannometrico".
Permettetemi, dunque, di riportarvi alcuni stimoli derivanti da un personale tentativo di sintesi. Appare difficile fare valutazioni che valgano per tutti i tipi di biblioteche, ovviamente. L'impegno, che parte da una particolare conoscenza del mondo delle pubbliche, valga, comunque come definizione di aspetti di un quadro utile a quel confronto che oggi qui ci proponiamo.

Progettare la cooperazione e il territorio
La prima considerazione che sorge nel far sintesi di tante esperienze è che le reti di cooperazione, cosa diversa dalle collaborazioni su progetti, sono chiamate più che mai ad essere progettate. E sono chiamate, come rilevato, ad essere progettate e gestite come reti di servizi differenziati e coordinati per conseguire adeguati risultati di efficienza e di efficacia. Progettare la cooperazione, poi, per qualsiasi biblioteca che sia anche parzialmente in relazione con il contesto geografico, politico e sociale in cui è collocata significa intanto, proporzionalmente con il suo coinvolgimento, fare i conti con l'idea di territorio una realtà che è andata sempre più attestandosi negli ultimi tempi caratterizzati anche da difficoltà economiche come uno spazio dell'azione e per l'azione... un luogo vivente di interazioni fra differenti sistemi [4], il luogo non solo geografico su cui far leva per attuare politiche di sviluppo razionali della qualità della vita di una collettività. Si tratta, dunque, di un luogo di concertazione e condivisione di una molteplicità di attori capaci di mettere in moto più facilmente, per obiettivi di sviluppo comune, risorse pubbliche e private [5].
Sempre più spesso questi elementi sono alla base di operazioni di programmazione e pianificazione che coinvolgono anche il servizio bibliotecario soprattutto se questo ha assunto massa critica adeguata.
E' fuor di dubbio, peraltro, che non è sufficiente collegare in rete le biblioteche per garantire queste sinergie con il territorio ed i vantaggi conseguenti. Altrettanto fuori di dubbio deve essere il fatto che ci si riferisce qui a reti altamente integrate. Dato per acquisito che gli stakeholders della rete sul territorio siano interessati a dialogare con essa (e in genere ci vuole del tempo considerata la scarsa considerazione normalmente riservata in Italia alle biblioteche), serve garantire almeno altre due premesse:
  1. che la rete conosca e non ignori nel suo agire il territorio
  2. che il dialogo con lo stesso sia all'altezza della situazione e coinvolga regolarmente, organicamente, enti, tessuto produttivo, realtà sociali, oltre che i singoli, offrendo risposte di qualità alle loro esigenze.
Per una efficiente allocazione delle risorse la progettazione deve, poi, prevedere un corretto dimensionamento della cooperazione.
Per decenni la cooperazione italiana ha conosciuto esperienze anche significative, ma giocate su ambiti territoriali assai ristretti. Relativamente alle pubbliche, ma il discorso di un corretto dimensionamento vale per ogni cooperazione bibliotecaria, la Catalogna, che tanto interesse ha suscitato negli ultimi anni per la propria politica in materia, ha 5 reti per 324 biblioteche; la Regione Lombardia, già nel programma pluriennale 2001-2003 aveva previsto lo standard minimo di 300.000 abitanti relativamente ai bacini d'utenza delle proprie reti, che raddoppiava il tradizionale dato di 150.000 abitanti presente un tempo in letteratura, e da vari anni sta fattivamente operando per l'accorpamento dei sistemi esistenti.

Progettare la cooperazione: standard e modelli
Ancora in relazione alla progettazione: per ben cooperare servono regole chiare. Servono maggiori standard che stimolino la crescita del servizio e garantiscano la reciprocità pur nei limiti impliciti nella dimensione di ogni singolo partner. Servono standard magari graduati, ma che permettano di definire con chiarezza quali dovrebbero essere le caratteristiche della struttura distribuita sul territorio. Sappiamo tutti che il concetto di standard può nascondere rigidità inopportune, sappiamo anche, però, che le guidelines con cui si è cercato di sostituirli a livello internazionale non hanno prodotto lo stesso effetto, non sono state così capaci di incidere nelle scelte di amministratori e tecnici. Oltretutto, più volte si è precisato che se gli standard internazionali risultano scarsamente utili, assolutamente opportuni risultano standard locali, regionali che tengano presente il livello di sviluppo in atto e gli obiettivi possibili.

Progettare una struttura di cooperazione significa delinearne anche i modelli gestionali. Recentemente con riferimento alle piccole biblioteche, si è parlato (Boretti ?) [6] , per esempio di uno sviluppo secondo il modello franchising, che, come tutti sappiamo, richiede un rilevante livello di centralizzazione.
Di mio, credo di poter testimoniare il fatto che lo sviluppo del servizio offerto dalle biblioteche in rete porta inevitabilmente alla specializzazioni di funzioni, ad un rafforzamento del ruolo del Centro servizi e, in modo complementare, ad una sempre maggiore esposizione delle biblioteche sul territorio verso l'attività di front-line, verso la personalizzazione del prodotto offerto all'utente.
Peraltro l'adozione di soluzioni centralizzate, piuttosto che semi-centralizzate, decentrate, esternalizzate, fornite, partecipate o quant'altro, riferite ai singoli servizi più ancora che all'intera struttura della cooperazione, non risulta vincente in sé, ma in relazione al contesto in cui si situa.
Alla base di questa parte dell'azione progettuale legata alla definizione dei modelli più adeguati alla situazione ci sono, credo, dei must: Forme giuridica della cooperazione: una nota.
Lascio alla seconda sessione di lavori di oggi l'analisi degli aspetti giuridici della cooperazione. Certamente la rivisitazione, in particolare, dell'articolo 115 del Codice dei beni culturali, effettuata con il D. Lgs 24.03.06 n. 156 ha complicato la vita agli enti interessati alla cooperazione. O forse l'ha semplificata, a seconda dei punti di vista. Certo è che è stata eliminata la possibilità di incarico a proprie partecipate senza procedure ad evidenza pubblica (caso di gestioni indirette). Il che significa, di fatto, la non adottabilità di soluzioni di diritto privato quali Srl o similia verso cui non pochi si stavano orientando.

Progettazione biblioteconomica
Sempre con l'intento di passare alcune riflessioni a flash e puntando più sul fatto biblioteconomico, gestionale accenno solo alla necessità, per tutti, credo, scontata, dell'esistenza di cataloghi regionali o almeno di efficienti metaopac regionali. Non è pensabile altrimenti cercare di sviluppare l'interprestito a livello locale riducendo i tempi e i costi derivanti dall'individuazione da parte dell'utente dell'opera cercata in altre parti d'Italia o del mondo.
Entrati nelle problematiche legate ai cataloghi, bisogna dire che urge far chiarezza e superare la dicotomia tra catalogo nazionale e cataloghi locali, in sostanza definire ruoli e posizioni rispetto ad SBN, questione che con l'entrata in funzione di Indice 2 diventa molto meno ostica, più facilmente affrontabile. Ne potrà derivare, oltretutto, un vantaggio non certo secondario: la riduzione e la razionalizzazione dell'impegno per la catalogazione del corrente.
E' necessario, ancora, stimolare di più la cooperazione in ambito di formazione e gestione delle raccolte. Recenti dati AIB sulla situazione delle reti territoriali ci dicono che un numero ristretto di biblioteche che operano in cooperazione prevedono una qualche forma di coordinamento con altre realtà nella selezione degli acquisti documentari.
Affrontare in termini di cooperazione interistituzionale la questione della formazione e della gestione delle raccolte significherebbe per esempio trattare anche di stoccaggio coordinato. Ma parlare di gestione delle raccolte coordinata significa pure risolvere razionalmente all'interno di una pianificazione coerente con la struttura del sistema bibliotecario italiano l'enorme questione del deposito legale che in questo periodo ci sta angosciando.
Garantire indirizzi, standard per la formazione e gestione delle raccolte di rete significa, infine, definire anche dimensioni ed economicità del prestito interbibliotecario. In un Paese come il nostro in cui la capacità d'acquisto delle pubbliche locali è molto lontana dal soddisfare le esigenze del pubblico l'attuale bassissimo numero di prestiti interbibliotecari che caratterizza gran parte delle reti territoriali (gli stessi dati ufficiosi AIB sopra citati lo fissano intorno all'1-2 % a livello nazionale della più generale attività di prestito) è effetto di un'offerta documentale di risulta, non di una pianificazione adeguata.
Un accenno al reference nelle sue varie espressioni: locale, remoto, di rete, iniziative alla ask a librarian (v. l'esperienza toscana) ecc. Le biblioteche italiane raramente vanno oltre la consulenza bibliografica o l'informazione fattuale. La possibilità, stimolata dal dialogo di cooperazione, di realizzare virtual reference desks coordinando sforzi anche interistituzionali può trasformarsi in un'azione di volano per uno sviluppo deciso del servizio.

La cooperazione va misurata, valutata, monitorata
Nella definizione di un sistema reticolare di servizio non è pensabile non prevedere il momento della valutazione. Fino ad oggi la biblioteconomia italiana, non diversamente da quanto è capitato in gran parte delle altre nazioni, ha messo a punto strumenti di misura di efficienza ed efficacia inerenti le singole biblioteche, ma nessun riferimento alla cooperazione. Abbiamo iniziato a pensarci solo da poco, con grave ritardo. Così, spesso, "cooperazione" appare parola magica, una specie di placebo, che però copre anche errori, perdite di efficienza, scarsa incisività nell'azione. Nessun supporto sicuro, dunque, alle decisioni di carattere politico o gestionale. Nessuna possibilità di benchmarking che è confronto ponderato.
Riuscire a produrre simili strumenti gestionali, ora in fase di elaborazione su più fronti, può offrire ulteriore occasione di sviluppo della cooperazione interbibliotecaria italiana.
Infine la cooperazione va vissuta. Va vissuta nella quotidianità... Oltre le biblioteche
L'ultimo paragrafetto del mio intervento non potrebbe che intitolarsi "oltre le biblioteche". Senza pensare di esaurire le possibilità di dialogo di ciascuno dei soggetti in gioco, progetti culturali comuni, l'avvio di collezioni digitali comuni, come anche la nascita di distretti culturali potrebbe dar adito a importanti prove tecniche di cooperazione. Ma prima ancora cerchiamo il dialogo su progetti di formazione del personale, di gestione delle raccolte, di catalogazione documentaria, di interprestito, di reference coordinato, il tutto, ovviamente, se in ambito territoriale evitando logiche localistiche.
Vi si frapporranno culture organizzative diverse, la mancanza di protocolli capaci di dar attuazione a standard peraltro già individuati, legislazioni inadeguate, soggetti impreparati a supportare simili iniziative. Ma sono sfide che vanno affrontate sia pur con gradualità per ricercare un valore aggiunto da garantire alla nostra offerta, come pure per individuare, in una prospettiva più ampia, soluzioni più razionali ai molti problemi settoriali. Vanno affrontate, infine, perché un contesto più ricco culturalmente diventa ancora più stimolante, motivante per quanti sono chiamati ad operarvi, aspetto che non può che ripercuotersi in positivo nel prodotto-servizio che siamo chiamati a garantire alla collettività.

Note
[1] A. GALLUZZI, La cooperazione bibliotecaria. Milano, Editrice Bibliografica, 2004, p. 95
[2] Linee di politica bibliotecaria per le autonomie
[3] Idem, par. 2
[4] Manuale di sociologia, Torino, UTET Libreria, 1997, p. 295.
[5] Cfr A. AGOSTINI, Metodi e strumenti di pianificazione del territorio
[6] A. GALLUZZI, Il futuro della biblioteca pubblica, "Bollettino AIB", 46 (2006), n. 1-2, p. 103.
[7] A. GALLUZZI, La cooperazione bibliotecaria... p. 354.


Copyright AIB 2008-02, ultimo aggiornamento 2008-02-24 a cura di Giovanna Frigimelica
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