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"14. Seminario Angela Vinay"
bibliotECONOMIA
la frontiera digitale

PROGETTI E STRATEGIE

Tommaso Giordano , Istituto Universitario Europeo


Non avevo previsto la chiamata a sorpresa del nostro Chairman Igino Poggiali, che ha cominciato a parlare di programmi e strategie con un linguaggio aziendale, poi militare e infine... pontificale ed ecumenico.

Il suo intervento mi ha suscitato qualche riflessione: vorrei ricordare che, come sostengono molti storici, i piani militari studiati e preparati a tavolino raramente vengono implementati con la geometrica precisione che intendono evocare. Su questo tema rimangono ineguagliabili le pagine che Tolstoj dedica ai piani di battaglia in Guerra e pace. Detto in termini più triviali: tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare e soprattutto...tanta improvvisazione. L'affascinante coerenza di un piano strategico si muove nella sfera dell'astratto e del gioco delle ipotesi; al contatto con la realtà ne deriva un'azione che assomiglia più agli scontri improvvisati, violenti quanto insensati del film di Stanley Kubrick Full metal jackets, che al "lampo dei manipoli e all'onda dei cavalli" di manzoniana memoria. Ho anche il sospetto che l'amico Poggiali abbia usato il linguaggio militaresco - aziendale per provocare la mia artiglieria e il giochino gli è riuscito benissimo, confermando le sue ben note doti strategiche e tattiche.

Se è vero, come dice Poggiali, che mi occupo di gestione delle biblioteche - e non nego di aver contribuito negli anni passati a sensibilizzare la professione bibliotecaria verso un approccio più manageriale in contrapposizione alle attitudini burocratiche imperanti - rimango un bibliotecario, nel senso che mi occupo delle biblioteche a partire dal loro contenuto e dalla loro destinazione. Un bibliotecario che prescinde dai contenuti della biblioteca che dirige non sarà in grado di comprendere, se non superficialmente, le persone che la usano.
Quando si parla di bibliotecario manager come di persona che può sostanzialmente ignorare il contenuto di una biblioteca a condizione che abbia polso per organizzare e comandare, oppure abilità nel reperire e gestire finanziamenti, si commette una mistificazione. Un informatico o ragioniere possono benissimo dirigere una biblioteca se hanno intelligenza e sensibilità per cogliere la specificità dei suoi contenuti e possibili destinatari. Più frequenti - e anche se più rischiosi per le biblioteche - sono i casi di bibliotecari che sull'onda delle mode correnti, preferiscono tuffarsi nell'informatica o travestirsi da economisti e manager per poi magari finire... bricolers e maneggioni.

Il dottor Chetta non ci ha presentato i nuovi progetti del Ministero che oggi qui rappresenta, ma ci ha voluto parlare della cultura dei manager, intesa come un modo di vedere le cose e una filosofia per affrontare i problemi e le sfide che ci stanno di fronte. Di questa filosofia vorrei qui brevemente discutere. Secondo me bisogna stare molto attenti quando si dice che la biblioteca deve creare ricavi, perché, come giustamente il dottor Chetta ha subito aggiunto, una cosa è creare ricavi dagli Uffizi (ma anche qui non è così facile e risolutivo come potrebbe sembrare) e un'altra è creare ricavi dalla biblioteca del Comune di Bagno a Ripoli, tanto per rimanere nell'area fiorentina.
Teniamo presente che in Italia la gente è poco adusa a frequentare le biblioteche e dobbiamo motivarla o attirala con qualche stratagemma per portarla in questi luoghi. Gli abitanti del Belpaese, come è noto, leggono poco. I Finlandesi leggono di più, molto di più, perché ... osservano alcuni - fuori c'è la neve e sono costretti a stare in casa. Ma questo non deve essere un alibi per disinteressarci dell'educazione alla lettura e per non spingere i nostri figli a frequentare le biblioteche, né deve essere una scusa per permettere a chi governa per realizzare economie a danno delle strutture bibliotecarie, tradizionalmente relegate ai margini della spesa pubblica. Anzi assecondando questo approccio non si ottengono entrate ma si incoraggiano i cittadini a tenersi lontani dalla cultura.

Sono d'accordo che il discorso è molto diverso se si parla di musei o di biblioteche, e anche sulla necessità di creare un sistema di gestione più razionale, capace di evitare gli sprechi: il che non vuol dire che un tale sistema si debba realizzare un'ottica for profit; anzi un tale approccio, come è abbastanza evidente dagli esempi stranieri che vengo continuamente additati, risulta fondamentalmente inappropriato nel nostro caso. Inoltre non ritengo assolutamente che l'etica del funzionario di un'azienda privata sia più elevata di quella di un civil servant. Io sono orgoglioso di essere un funzionario pubblico e proprio in quanto tale mi sento investito di una responsabilità più alta, di quella del manager dell'impresa privata, perché lavoro al servizio di tutta la comunità. Per questo un manager pubblico si muove con una visione sostanzialmente diversa da quella del manager di un'impresa privata e deve di conseguenza trovare strumenti di gestione specifici, innovativi ed efficienti, veramente in grado di realizzare i principi e la missione che gli sono stati assegnat. Forse non è questo il momento di approfondire questo argomento, ma vorrei almeno che se ne cominciasse a parlare.

Vorrei ora concludere ponendomi su un piano più concreto. La posizione internazionale dell'Istituto in cui lavoro mi offre un punto di osservazione privilegiato della realtà europea e soprattutto mi induce al confronto quotidianamente con i colleghi e utenti provenienti da molti paesi europei ed extraeuropei e, inevitabilmente, le riflessioni approdano inevitabilmente alla situazione italiana.

Mi sembra che sia emerso con molta evidenza, anche dai progetti e dalle esperienze presentati in questo convegno, la necessità di dare maggiore concretezza alla nostra analisi e di tracciare un quadro attendibile delle priorità. . L'Italia ha un 'mercato culturale' ristretto, dato che la nostra lingua è parlata da poco più di cinquanta- sessanta milioni di persone; non possiamo quindi pensare di usare gli stessi modelli impiegati negli Stati Uniti o in Gran Bretagna, dove si opera in una dimensione veramente globale, né possiamo seguire il modello cinese, forte di una lingua parlata da qualche miliardo di persone. Quando pensiamo in termini di obiettivi e progetti non possiamo prescindere dalla consapevolezza di questi limiti..
D'altra parte le biblioteche non possono ridurre l'attività a comprare e a conservare libri e a darli in lettura. Questi compiti rientrano in una missione più ampia che è quella di contribuire alla crescita culturale e civile della società nel suo complesso, allo sviluppo della creatività e della produzione intellettuale e artisitica. Nella società attuale alle biblioteche spetta quindi un ruolo attivo nel sistema formativo e culturale, che troppo spesso gli stessi bibliotecari tendono a sottovalutare.

Questo ruolo è ancora più cruciale nei paesi caratterizzati da un'area linguistica ristretta in termini di mercato, come l'Italia, dove la nostra cultura rischia di venire fagocitata dai prodotti e culturali provenienti dalle aree dominanti. Dobbiamo acquistare consapevolezza delle nuove sfide se vogliamo che biblioteche non siano semplicemente le guardiane del passato. Occorre anche lavorare perché venga si compreso dai decisori e dai cittadini tutti che un taglio alla spesa delle biblioteche ha delle conseguenze dirette e irrimediabile sul complesso delle attività culturali del Paese. Una riduzione del bilancio degli acquisti, ad esempio, può significare l'annullamento di migliaia di abbonamenti e la chiusura di alcune riviste italiane (che in casi del genere sono le prime ad essere sacrificate).
La razionalizzazione della spesa va perseguita facendo attenzione a non adottare rimedi peggiori del male.

Sulla conservazione vorrei poi aggiungere un altro pensierino, che già ho espresso in altre occasioni ma sul quale insisto ancora, perché non mi sembra sia stato ben colto. Non desidero parlare del digitale, ma ... e non per spirito di contraddizione - della conservazione della carta. Del digitale tutti ci stiamo preoccupando: se si propone ad un assessore di creare un portale, si ha una ottima probabilità di essere ascoltati; ma se si propone di realizzare un magazzino per conservare i libri delle biblioteche ormai stracolme, si rischia di non ottenere la ben minima attenzione. Questione di visibilità: risulta ovviamente più attraente, da tutti i punti, di vista un progetto come la BEIC a Milano, che l'impianto di un deposito librario nella piana di Mestre.

In realtà siamo di fronte ad una questione molto seria. Uno dei compiti della biblioteca è anche quello di conservare e rendere accessibile l'eredità culturale nel presente e nel futuro.
In alcuni paesi, accanto ai progetti di digitalizzazione dei periodici, si mettono a punto politiche di conservazione del cartaceo da realizzare con nuove e più economiche modalità di gestione delle pubblicazioni. Questo tipo di approccio andrebbe attentamente considerato anche per l'Italia, dove la storica carenza di coordinamento tra le varie istituzioni bibliotecarie fa si che vengano trattenuti in sale stracolme, duplicati che potrebbero trovare più economica e adeguata sistemazione in locali fuori porta, adeguatamente attrezzati e messi a disposizione delle biblioteche congestionate. Così oltre a guadagnare dello spazio da destinare ai servizi più prioritari difenderemmo anche i centri storici, evitando torri librarie sotterranee o altre soluzioni altrettanto azzardate e devastanti. Anche questo sarebbe un intervento di razionalizzazione legato al digitale, che ci consentirebbe di gestire meglio anche quello che digitale non è.


Copyright AIB 2004-08-25, ultimo aggiornamento 2004-10-05 a cura di Marcello Busato e Giovanna Frigimelica
URL: https://www.aib.it/aib/sezioni/veneto/vinay14/giordano03.htm


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