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"14. Seminario Angela Vinay"
bibliotECONOMIA
la frontiera digitale

PROGETTI E STRATEGIE

Biblioteca digitale o biblioteche digitali?

Claudio Leombroni, Provincia di Ravenna


Questo Seminario Vinay segue di una settimana il convegno su "Il linguaggio delle biblioteche digitali" svoltosi a Ravenna. Con Chiara Rabitti, che è stata ospite al convegno ravennate, abbiamo pensato che la prossimità dei due eventi, lungi dall'essere spiacevole, consenta in realtà di approfondire e articolare meglio un tema di rilievo strategico per i servizi bibliotecari del nostro paese. Il mio intervento terrà quindi conto delle conclusioni del convegno svoltosi la settimana scorsa a Ravenna. Inoltre è per me inevitabile far riferimento alla discussione nell'ambito della Commissione Servizi Nazionali dell'AIB di cui sono componente, nonché alle suggestioni che provengono dai precedenti interventi.
Per introdurre qualche elemento ulteriore di discussione suggerisco di considerare la biblioteca digitale come un concetto organizzativo in modo analogo a quanto Corrado Pettenati propose per il concetto di biblioteca virtuale circa dieci anni fa. Da questo punto di vista appare evidente che il dominio di pensiero designato dall'espressione "biblioteca digitale" e l'insieme di concetti ad esso in qualche modo correlato (biblioteca virtuale, biblioteca multimediale, biblioteca ibrida ecc.), richiamino concetti analoghi elaborati dalla cultura d'impresa nel corso degli anni Novanta. Si pensi a concetti come "impresa flessibile" o modulare, "impresa estesa", "impresa agile", "impresa orizzontale", "impresa senza confini", "impresa virtuale", "fabbrica digitale" o "business ibrido". Il concetto di impresa virtuale, ad esempio, precede di poco il corrispondente concetto biblioteconomico di biblioteca virtuale. Queste analogie nell'impiego di specificazioni o istanze di concetti testimoniano che entrambi i domini di interesse - la cultura biblioteconomica e la cultura d'impresa - nel corso degli ultimi due decenni hanno dovuto affrontare problemi analoghi, anche se con modalità e sensibilità diverse. In entrambi i casi, infatti, il problema è mettere in grado le rispettive organizzazioni di governare quelle che Michael Hammer ha definito "tre C": cliente, concorrenza, cambiamento. Per la cultura biblioteconomica quelle tre C potrebbero essere riformulate in termini di "cittadino, concorrenza, cambiamento", senza tuttavia mutare il dato di fondo: due organizzazioni diverse, dotate di finalità diverse, negli ultimi quindici anni si sono dovute confrontare sostanzialmente con gli stessi problemi, con gli stessi mutamenti profondi che hanno segnato l'economia e la società. La risposta al cambiamento da parte del mondo delle imprese è stata naturalmente più rapida e profonda di quella avviata dalle organizzazioni pubbliche. Tuttavia per imprese e organizzazioni pubbliche le aspettative degli utenti, mutevoli e sofisticate ad un tempo, le opportunità offerte dalle nuove tecnologie, la complessità dell'ambiente esterno (società, mercato ecc.) impongono azioni di adeguamento organizzativo.
Nel caso delle imprese l'adeguamento organizzativo, supportato anche da tecniche e metodologie manageriali molto raffinate, ha disegnato strutture produttive fortemente innovative con una cultura organizzativa fortemente orientata al cliente e al risultato. Ciò significa considerare il consumatore la componente più importante della linea produttiva o, come nelle aziende più innovative, istituire un rapporto di partnership con il cliente nella definizione delle caratteristiche del prodotto. Significa inoltre concepire organizzazioni snelle, agili, in grado di adattarsi velocemente ai cambiamenti dell'ambiente esterno; significa gestire una catena virtuale del valore che include organizzazioni diverse, a volte eterogenee, spesso lontane fisicamente. Significa infine ammettere che il cambiamento tocca anche i 'valori', i comportamenti, gli stili di management, la psicologia individuale e di gruppo. Da questo punto di vista obbedienza e diligenza cedono il passo a immaginazione, spirito di iniziativa, flessibilità e orientamento al risultato; la lealtà è rimpiazzata dall'orientamento al successo nel business. Empowerment diviene così una parola chiave: indica la capacità di interiorizzare la nuova cultura organizzativa, di essere autonomi nelle decisioni ed incarna i concetti di intrinseca motivazione, di giustificazione interna, di responsabilità condivisa nella risoluzione dei problemi.
Negli anni Novanta l'azienda più rappresentativa di questa nuova cultura è Dell, un'azienda che vende online computer e riesce a conseguire notevoli margini di redditività eliminando quasi completamente la gestione dei magazzini e consegnando al cliente un prodotto altamente configurabile e personalizzabile. Le ragioni del successo di Dell consistono in un approccio virtualmente integrato alla catena del valore. Ciò significa sfumare i confini della catena del valore convenzionale e i ruoli fra fornitori, produttori di manufatti e clienti, ma significa soprattutto essere un nodo di concentrazione e controllo di relazioni (con e fra i fornitori, con e fra i consumatori).
Cambiamenti per certi aspetti simili sono riscontrabili anche nei grandi progetti di automazione delle organizzazioni pubbliche. Il progetto di Rete Unitaria della Pubblica Amministrazione, avviato nel 1996, presuppone ad esempio la pluralità e l'autonomia dei sistemi informativi locali e non già un'organizzazione centralista dell'informatica pubblica. I singoli sistemi locali sono concepiti come domini autonomi e la rete nazionale come una federazione di domini. Il livello nazionale o i livelli soprastanti il sistema locale si occupano del governo delle relazioni fra i domini, assicurandone l'interoperabilità mediante la predisposizione e la pubblicazione di appositi protocolli.
Da questa breve descrizione dell'impatto sulle organizzazioni del cambiamento che ha caratterizzato gli ultimi due decenni siamo ora in grado di estrarre alcune parole chiave applicabili all'ambito digitale.
La prima, e forse la più importante di esse, è sicuramente "pluralità". In sostanza dobbiamo immaginare più biblioteche digitali, non una sola - intesa magari come la tela inconsutile immaginata dai giureconsulti per descrivere il potere di Federico II, come una cappa senza cuciture che avvolge il mondo, perché l'universo digitale è di per sé eterogeneo e plurale. Dobbiamo dunque ragionare in termini di domini, considerando gli archivi, i musei, le esperienze di telematica civica avviate da molte amministrazioni - e di cui in genere non parliamo - come esperienze autonome e dotate di una propria identità/dignità. In sostanza progetti di questo tipo non devono essere totalizzanti. Non si possono riprodurre nel nuovo millennio pratiche o "progetti totalizzanti"; (termine quest'ultimo utilizzato nel 1989 da Giovannella Morghen per presentare all'esterno SBN) tipici degli anni Ottanta del secolo scorso. Progetti ispirati ad un approccio totalizzante non avrebbero oggi un futuro. E' bene quindi ricordare agli altri e a noi stessi che l'universo del discorso digitale ammette solo biblioteche digitali e non una biblioteca digitale per quanto aggettivata come nazionale. Ciò comporta anche la necessità di trarre insegnamento dalla storia di un grande progetto come SBN per evitare possibilmente di riprodurne sotto altre forme gli stessi problemi organizzativi che ne hanno accompagnato le vicissitudini. Ricordo a questo proposito un intervento di un bibliotecario di grande intelligenza, il compianto Giuseppe Ammendola, che osservò come SBN avesse costruito nel corso del tempo un'organizzazione di tipo moderno in un mondo postmoderno. In un mondo cioè in cui si abbandonano le grandi narrazioni, le grandi costruzioni totalizzanti immaginando organizzazioni più snelle, più duttili, più modulari, più flessibili, SBN continua a riconoscersi in un sistema monolitico. Dovremo oggi cercare di evitare questa tentazione, tanto più che la cultura organizzativa in questi anni ha introdotto mutamenti concettuali che vanno proprio in questa direzione. Dovremo altresì tener ben presente il collegamento tra biblioteca digitale e organizzazione e probabilmente dovremo chiederci se il modello organizzativo pubblico, che prevede un'articolazione di competenze (Stato, Regione ed enti locali) sia efficace nella sua impostazione attuale, soprattutto se sia davvero in grado di rispondere alle aspettative degli utenti.
Altre parole chiave sono "integrabilità" e "interoperabilità". Ammessa la pluralità delle biblioteche digitali in un contesto di politica bibliotecaria il passo successivo sarà infatti individuare un linguaggio comune che consenta ai diversi progetti di parlare tra loro e complessivamente di configurarsi come un sistema nei confronti degli utenti.
Un altro termine è quello di virtualità. In certa letteratura, soprattutto americana, la biblioteca digitale e la biblioteca virtuale vengono assimilate. Ci dovremmo dunque abituare, una volta presupposta la pluralità - che comprende anche 'oggetti' diversi dalla biblioteca - ad immaginare una sorta di catena virtuale del valore, che raccolga tutti questi oggetti e si presenti al cittadino come una sorta di organizzazione virtuale, tenuta insieme da un linguaggio coerente e dall'obiettivo di consolidare il vantaggio competitivo degli attori dell'intero sistema. Per le biblioteche questo vantaggio competitivo può consistere in un vantaggio di costo, ossia nella produzione di servizi a titolo generalmente gratuito o con tariffe molto convenienti, ma può essere anche un vantaggio di unicità, ossia consistere nella distribuzione di servizi altamente personalizzati, e capaci, peraltro, di consentire all'organizzazione virtuale di sopravvivere anche di fronte al fenomeno della disintermediazione divenuto di estrema attualità grazie alle potenzialità delle nuove tecnologie.
Altre due parole chiave, infine, sono flessibilità e modularità. Qui il discorso cade inevitabilmente sull'organizzazione interna dei singoli attori, quindi anche delle biblioteche, e diventa molto critico perché i cambiamenti dell'ambiente circostante, soprattutto quando parliamo di un ambiente digitale, hanno, come abbiamo visto, un impatto molto forte sulle nostre organizzazioni: si dovrà quindi passare ad esempio da una organizzazione del lavoro basata sugli uffici o sulle competenze - chi si occupa di catalogazione, chi si occupa di prestito ecc. - ad una organizzazione del lavoro modulata sui processi. Tuttavia l'elemento più rilevante è probabilmente il necessario adeguamento di una nozione cara ai bibliotecari, quella di cooperazione, ora estesa a ‘oggetti' prima impensabili, ad altri domini, ad altre istituzioni o agenzie diverse dalle biblioteche. Dal punto di vista del cittadino infatti il sistema informativo dovrà costituire un unico insieme, senza distinzioni di competenze. In altre parole, se un cittadino si reca nella biblioteca di una città come Venezia, Ravenna o Bologna a chiedere, per esempio, la tariffa in uso per gli asili nido, oggi sarà sempre più difficile indirizzarlo all'Ufficio Relazioni con il Pubblico del Comune: l'utilizzo ormai diffuso delle reti civiche o di Internet gli suggerirà infatti seri interrogativi sulla nostra efficienza.
In sostanza dobbiamo cercare di realizzare una sorta di organizzazione virtuale che complessivamente sia in grado di rispondere al cittadino, per il quale è assolutamente irrilevante quali rapporti e quali procedure vengano attivati tra le varie componenti: l'importante è che questa risposta gli sia data nel minor tempo possibile. Per fare questo, ovviamente, è necessario ragionare in termini di relazioni, con la percezione di quanto sia fondamentale in questo contesto governarle in modo efficace.
Un ultimo concetto, forse più semplice o scontato per noi bibliotecari, che quando parliamo di biblioteca digitale insistiamo sul sostantivo "biblioteca". I nostri maestri - ne abbiamo tanti intorno a questo tavolo - ci hanno insegnato innanzitutto che la biblioteca è un metodo, quindi un contesto organizzato, in cui vengono prodotti determinati servizi per dare risposta alle esigenze dell'utente, con il quale è fondamentale stabilire un rapporto positivo. Tuttavia se pensiamo ai progetti di digitalizzazione avviati nel nostro paese c'è da chiedersi - o me lo chiedo da due anni - se la digitalizzazione dei cataloghi manoscritti delle biblioteche statali o delle biblioteche di ente locale, risponda a questa missione, a questa priorità. Chiedersi perché e per chi digitalizzare sono domande di buon senso che dovremmo rivolgere a noi stessi, soprattutto in contesti che richiedono investimenti non secondari. L'attenzione all'utente, insomma, ci deve guidare nella selezione delle priorità e ciò evidentemente e inevitabilmente rimanda alle esperienze locali e alla sensibilità del bibliotecario.
Un ultimo elemento da ricordare è che anche per le biblioteche digitali valgono i valori duraturi che Gorman ha così ben illustrato nel caso delle biblioteche pubbliche: la biblioteche - almeno così come noi la intendiamo nei paesi liberali - ha una funzione essenziale proprio nello sviluppo del pensiero critico, fondamentale per la sopravvivenza delle società democratiche. Questa percezione, questa convinzione deve animare anche le biblioteche digitali, perché questa è la natura profonda della nostra professione.


Copyright AIB 2004-09-21, ultimo aggiornamento 2004-10-05 a cura di Marcello Busato e Giovanna Frigimelica
URL: https://www.aib.it/aib/sezioni/veneto/vinay14/leombroni03.htm


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