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"14. Seminario Angela Vinay"
bibliotECONOMIA
la frontiera digitale

PRESENTA IL SEMINARIO
Chiara Rabitti
, Responsabile della Biblioteca della Fondazione Querini Stampalia


Nella consueta rivoluzione che tradizionalmente investe il programma della prima mattinata di lavori, mi ritrovo oggi a presentare il Seminario quando è ormai avviato: questo peraltro mi ha dato modo di confrontare le cose che sono state dette fin qui con quelle che pensavo di dire, e di rilevare diverse coincidenze.
Ma vi ringrazio innanzitutto di essere presenti nonostante le intemperie che sempre sembrano infierire contro il Seminario Vinay. A Venezia un tempo grigio ed uggioso viene definito " tempo da Madonna della Salute", tipico del mese di novembre in cui ricorre quella festa; ma direi che c'è anche un "tempo da Seminario Vinay", che in qualsiasi stagione è esattamente questo, cioè anche peggiore. Credo di non ricordare un'edizione senza brutto tempo, pioggia e magari possibilmente qualche altra calamità più o meno naturale, acqua alta o epidemia influenzale o sciopero dei trasporti. Così anche questa sala sul giardino, che con il clima e la luce primaverili avrebbe dovuto essere particolarmente piacevole, oggi riesce purtroppo ad essere comunque cupa e fredda.

Questo seminario si collega, oltre che a tutta la serie dei precedenti Seminari Vinay, a un seminario che si è tenuto a Ravenna una settimana fa, in cui questi temi sono stati affrontati anche da diversi punti di vista; peraltro quello stesso seminario si rifaceva ad un altro, sempre su argomento analogo, che si era svolto in sede di Congresso AIB a Roma nell'ottobre scorso. Questi continui richiami, quasi un lungo filo rosso che unisce una serie di momenti diversi, ci fanno percepire come il tema del digitale sia all'attenzione di tutti in questo momento, nel nostro settore ma anche in altri, e quanto sia complesso e particolarmente delicato. Lo affronteremo - abbiamo già cominciato in realtà ad affrontarlo - partendo come sempre dalla nostra situazione locale, e allargando poi il confronto con altre esperienze. Domani mattina con il progetto MINERVA vedremo come questa sfida digitale viene affrontata negli altri paesi europei, e con il progetto ABSIDE, che pure a MINERVA si ricollega, proprio l'ambiente digitale offrirà alle biblioteche l'opportunità di estendere, aggiornare e consolidare il loro ruolo di educazione permanente. Come sempre la tavola rotonda concluderà i lavori cercando di fornirci delle prospettive e delle linee di sviluppo.

Non in apertura dunque, ma ormai nel corso di questo seminario, vorrei comunque proporre qualche riflessione che mi viene sia dal percorso di preparazione di queste giornate, sia dall'esperienza del seminario di Ravenna di una settimana fa. Una cosa mi ha colpito fin dall'inizio, a Ravenna ne ho avuto piena conferma e questa mattina già sta emergendo con evidenza: la grande incertezza, l'instabile vaghezza addirittura dell'argomento di cui stiamo parlando. A volte infatti ho la sensazione che parlando di biblioteca digitale ci sia un'incomprensione di fondo sulle parole: non voglio certo dire che esista un'interpretazione unica e autorizzata di biblioteca digitale, e anzi cercherò di vedere quali possano essere grossomodo le diverse possibili interpretazioni di questo termine che probabilmente, anzi sicuramente, non indica un'entità univoca; credo però che sarebbe molto importante se riuscissimo almeno a distinguere di volta in volta l'oggetto di cui stiamo parlando. È evidente che allo stato attuale noi diamo a questa parola un significato diverso a seconda dei diversi ambiti di discussione e di servizio e quindi lavoriamo parallelamente e forse non sempre consapevolmente su diversi percorsi, su diverse direzioni: questo peraltro non ci aiuta certo nel trovare una unità, una coerenza di strategie. Rischiamo ancora una volta l'ordine sparso, il che può essere in qualche modo positivo se posto in raffronto al rischi della rigidità di un rigoroso inquadramento, ma può essere anche un fattore piuttosto pericoloso di dispersione e di frammentarietà.

La prima domanda che mi sono posta anche in altre occasioni, non riservate agli addetti ai lavori è questa: la biblioteca digitale è nel web o è il web? Ho cercato di ricondurre a tre grosse aree, dalla più ristretta alla più ampia, quelli che possono essere i significati che noi attribuiamo alla biblioteca digitale.
Il primo è quello di intendere la biblioteca digitale come la biblioteca che si costruisce con la digitalizzazione di documenti cartacei, cioè una riproduzione della biblioteca o di parti della biblioteca tradizionale, fondata in pratica generalmente sull'immagine, con o senza la possibilità, potenziata dal mezzo informatico, di recupero delle informazioni: comunque una riproduzione di documenti cartacei già esistenti e quindi una riproduzione virtuale della biblioteca che c'è. Questa è l'accezione più ristretta, più limitata, forse più immediata, e più umile: può essere una strada, ma può essere anche un limite, nel perpetuarsi di quel nostro normale atteggiamento di riprodurre con strumenti nuovi le cose vecchie, peraltro con tutte le implicazioni positive e gli indiscutibili vantaggi che questo può avere sul fronte della fruizione, della conservazione.
Un'altra accezione della biblioteca digitale - è sul web o è il web stesso? - è quella che comprende tutto ciò che nel web è in qualche modo riducibile ad un'organizzazione di tipo bibliotecario. Si estende quindi in primo luogo a quello che rientra nella prima interpretazione, ma anche ai cataloghi in rete o ai documenti elettronici nativi, se gestiti attraverso un catalogo e finalizzati all'erogazione di servizi. Io vedo in questa interpretazione una centralità del catalogo come snodo, come strumento di gestione e di organizzazione di tutto quello che noi vogliamo considerare biblioteca digitale: quindi riproduzione di materiali cartacei, ma anche documenti nativi in formato elettronico, periodici elettronici, immagini dei libri a stampa, fino ai link che partono comunque da un catalogo per arrivare a dare più piena informazione su quello che il catalogo mi offre.
La terza accezione è quella più ampia, e considera come biblioteca digitale il web stesso nella sua interezza: comprende cioè non solo quanto definito per le precedenti accezioni, ma anche tutto il resto, cioè sia la biblioteca digitale come riproduzione della biblioteca tradizionale, sia la biblioteca digitale come tutto ciò che nel web è riconducibile alla gestione bibliotecaria attraverso un catalogo organizzato, sia tutto ciò che ne rimane fuori, ma che comunque va a costituire quella massa di informazioni che risiede e viaggia sulla rete.

Cedo che forse noi dovremmo occuparci di tutte e tre le cose, ma probabilmente a livelli diversi e in tempi diversi; soprattutto credo sia necessario che ci intendiamo nelle varie situazioni e nei vari momenti sull'oggetto del contendere, su cosa è quello di cui stiamo parlando. Personalmente e allo stato attuale dei ragionamenti, ritengo che sia di nostra pertinenza in particolare la seconda interpretazione numero, cioè quella che comprende la prima, biblioteca digitale come riproduzione della biblioteca tradizionale, ma anche tutto ciò che è riconducibile sul web ad una gestione di biblioteca; questa interpretazione resta comunque aperta alla terza, perché non è escluso che un domani si riesca a dare un'organizzazione sostanzialmente bibliotecaria a tutto quello che c'è sul web.
Questo per quel che riguarda l'intendersi sull'argomento di cui ci occupiamo, cercando di chiarirci le idee sul fatto che non possiamo parlare di biblioteca digitale pensando indifferenziatamente all'una o all'altra cosa. È chiaro che comunque e a tutti i livelli si pone innanzitutto il problema della quantità delle informazioni in rete e quindi della loro selezione; problema che non è nuovo, chiaramente, per chi esercita il nostro mestiere. Nel mondo cartaceo tuttavia credo che la questione si ponga in termini diversi e forse anche più semplici, oltre che più sperimentati e quindi per noi meno problematici. Nel mondo cartaceo infatti quello che entra in biblioteca è praticamente selezionato nel momento in cui decido che valga la pena di impegnare del denaro per comperarlo, perché lo ritengo valido e interessante per il mio pubblico. Peraltro anche tra i doni, per cui non devo esercitare una scelta sulla base di limiti di spesa, opero sempre e comunque delle selezioni in ragione dei costi di gestione e della coerenza delle raccolte.

Io utilizzo dunque dei criteri nella mia selezione; d'altra parte ricordiamoci che in realtà non sempre quello che costa vale, cioè non è detto che valga automaticamente solo perché costa. Inoltre in molti casi il valore di cose che non costano è dato proprio dalla loro gestione e dalla loro organizzazione, cioè sono io che conferisco con il mio lavoro un valore aggiunto a qualcosa che non ho pagato, perché lo gestisco, lo organizzo e lo conservo in un'ottica bibliotecaria. Il materiale minore per esempio, gli inviti, i programmi, le locandine mi arrivano gratis e io generalmente li butto; però se li ordino e li conservo costruisco una collezione molto preziosa. Va tuttavia osservato che di solito i costi di gestione di ciò che non costa tendono ad essere maggiori di quelli di ciò che costa: ho più difficoltà a gestire una collezione di materiale acquisito gratuitamente che di materiale selezionato e pagato. Comunque nel momento in cui lo gestisco, gli attribuisco un valore che magari non aveva nel momento in cui l'ho acquisito; se conservo cose che non costano ho dunque un obbiettivo preciso, una idea di specializzazione che mira alla costituzione di un valore nuovo attraverso un lavoro che è comunque di selezione, di organizzazione, di offerta di servizio.

Devo allora riuscire a riportare nel mondo della biblioteca digitale i criteri e le considerazioni che ho applicato all'universo cartaceo. Ma qual è la situazione? In rete c'è già molto che non costa, e qualche cosa che costa. Io dovrò scegliere, perché posso spendere per organizzare quello che non costa, producendo valore aggiunto e finalizzato a un servizio; posso spendere per comperare l'accesso a quello che costa; posso spendere per produrre e mettere in retei quello che voglio io. Devo comunque operare delle scelte, decidere come investire per gestire questo sistema informativo sempre più complesso: peraltro proprio questo è il lavoro della biblioteca, il lavoro del bibliotecario.

Un altro quesito non si pone generalmente nella biblioteca tradizionale, perché la risposta è scontata: la biblioteca è una forma o è un contenuto? Noi chiamiamo biblioteca il contenitore, l'edificio e tutto quello che contribuisce a creare l'infrastruttura bibliotecaria, la metodologia, l'organizzazione, il personale stesso con la sua formazione; ma chiamiamo biblioteca, a pieno titolo, anche la sola raccolta, la collezione organizzata che sta dentro questo contenitore. Credo che anche per quanto riguarda la biblioteca digitale sia da rendere percepibile questa distinzione, e comprendere se intendiamo parlare del contenitore e della sua struttura, o del contenuto informativo che viene reso fruibile. Qui mi verrebbe già da fare qualche ipotesi, nel senso che se io intendo la biblioteca digitale come contenitore, e quindi come forma, e mi riferisco a quella seconda accezione di cui parlavo prima - cioè la biblioteca digitale come rappresentata da tutto ciò che nel web posso gestire e organizzare sul modello bibliotecario attraverso un catalogo - allora la logica conseguenza è la constatazione che quella infrastruttura formale, se pure debole e imperfetta, già esiste e si chiama Servizio Bibliotecario Nazionale. Uno sviluppo corretto e coerente di SBN potrebbe portarci effettivamente alla creazione della biblioteca digitale sulla base di un'infrastruttura già esistente e sperimentata, anche avvalendosi dell'esperienza degli errori fatti e da non fare mai più; potrebbe essere questa un'occasione straordinaria per svilupparne le potenzialità, mettendo completamente a frutto i grossi investimenti che in questi anni sono stati fatti sia a livello centrale che a livello periferico. Impariamo dunque a utilizzare appieno ciò che già abbiamo: a Ravenna un ingegnere ha spiegato nella sua relazione come in quella provincia si stia realizzando il collegamento a banda larga fra le biblioteche sfruttando i lavori in corso per le nuove condotte dell'acqua. In questo modo il collegamento viene a costare una frazione piccolissima di quello che sarebbe costato se si fosse fatto ex novo, perché i costo vengono in gran parte riassorbiti all'interno di un intervento già finanziato; forse si tratta di un ragionamento che si può applicare anche altrove.

Due ultime considerazioni traggo da quanto ho avuto l'occasione di dire la settimana scorsa a Ravenna, dove mi era stato richiesto di illustrare quelle che potevano essere le aspettative delle biblioteche nei confronti dalla biblioteca digitale. Ho cercato innanzitutto in quel contesto di sottolineare come la biblioteca digitale possa costituire un utile elemento per risolvere la contraddizione conservazione/fruizione, dissolvendo appunto definitivamente il vincolo possesso-accesso e facendo sì che si possieda quello che si deve possedere e si faccia accedere a quello a cui si deve accedere, cioè consentendo finalmente alle biblioteche di fare davvero il loro mestiere. Quindi ho portato i soliti esempi: la biblioteca di conservazione conserverà meglio i suoi materiali se avendoli digitalizzati ne potrà garantire una diversa fruizione; la biblioteca di pubblica lettura potrà liberarsi dai pesanti scrupoli di una conservazione che non le compete, sgombrando i suoi spazi per nuovi servizi e per nuovi utenti. La tecnologia dunque, la biblioteca digitale come potenzialità liberatoria: una volta sganciati, appunto, dalla sovrapposizione possesso-accesso che una volta ci legava le mani, siamo liberi, però non abbiamo più alibi per non fare il nostro mestiere.

Ancora una riflessione: la biblioteca digitale realizza l'apertura ad una più ampia trasversalità delle informazioni. L'identità del linguaggio digitale, in cui vanno a tradursi le informazioni in formato digitale provenienti da biblioteche, archivi, musei ci consente infatti di gestire queste informazioni in modo nuovo e, con termine forse abusato ma efficace, trasversale.
Ricordiamoci però che trasversale è e rimane solo l'informazione. Rimangono le specificità del trattamento del supporto originale, come pure le specificità delle esigenze dei diversi pubblici. Ancora una volta cioè dobbiamo stare molto attenti a non appiattirci necessariamente verso il basso, ma anzi a fare in modo che questa possibilità di gestire in modo integrato le informazioni consenta a ciascuno di fare il suo mestiere meglio di prima. Non solo, ma probabilmente dovranno nascere anche mestieri nuovi, con la necessità di un nuovo genere di formazione: mestieri nuovi per gestire correttamente questo straordinario snodo tra omogeneità e specificità che la biblioteca digitale ci consente. In pratica si può e si deve fare sistema tra biblioteche di diversa tipologia e tra biblioteche, musei e archivi, però dobbiamo anche sapere che così come cresce la potenzialità di un lavoro comune, cresce anche la nostra responsabilità se non riusciamo comunque a realizzarlo.

Per concludere, vorrei dire che nell'ormai lungo percorso dei Seminari Vinay, sotto vari aspetti e in varie situazioni, abbiamo parlato in sostanza di quattro cose: tecnologia, economia, cooperazione e servizio. La tecnologia è andata molto avanti in questi quattordici anni, mentre le risorse economiche si sono ridotte, e la cooperazione ha fatto forse qualche passo (cerchiamo di non essere negativi). E il servizio? Su questo - e qui mi ricollego a Cristina Celegon - dobbiamo continuare a confrontarci costantemente e puntigliosamente, perché quella della frontiera digitale è un'altra opportunità, un'altra occasione, un'altra sfida che dal punto di vista del servizio non possiamo permetterci di perdere.


Copyright AIB 2004-07-26, ultimo aggiornamento 2004-09-28 a cura di Marcello Busato e Giovanna Frigimelica
URL: https://www.aib.it/aib/sezioni/veneto/vinay14/rabitti03.htm


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