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"15. Seminario Angela Vinay"
bibliotECONOMIA
dal costo al valore

Valutare il servizio: per un bilancio sociale dei servizi bibliotecari

Giovanni Geroldi, Professore di Scienza delle finanze e Economia pubblica presso l'Università degli studi di Parma


Nel momento in cui sono stato cortesemente invitato dalla direttrice Chiara Rabitti, la quale - va detto - ha molto incentivato la mia presenza, avevo un dubbio che oggi è diventato una certezza: ovvero, che mi sarei trovato in un ambiente dove la maggior parte degli interlocutori ha una notevole esperienza in questo campo, mentre io sono solo un "dilettante" che ha provato a suggerire qualche schema di ragionamento economico in un campo di grande importanza come quello delle biblioteche, senza avere però una conoscenza diretta degli aspetti di funzionamento del sistema bibliotecario né, tantomeno, dei problemi di gestione delle biblioteche. Il rischio, perciò, è quello di apparire un po' come un grillo parlante, cioè uno che dall'esterno viene a giudicare e a proporre soluzioni per un mondo in cui chi ascolta opera quotidianamente. Spero che non sia così e che siate comprensivi verso il mio sforzo "interdisciplinare". Da parte mia, devo dire che mi sono avvicinato a questo tema con molto interesse. Dato che nella mia storia professionale, come economista pubblico, mi sono prevalentemente occupato di sistemi di Welfare, mi è venuto in mente che c'erano fortissime analogie che potevano essere in qualche modo applicate ai problemi che stiamo discutendo questa mattina. Perciò spero di riuscire a dare qualche contributo anche se il poco tempo mi obbliga a essere molto schematico.

Per cominciare, faccio un premessa che credo essenziale, a proposito dello stato sociale, il cosiddetto "Welfare state". Come tutti sanno, essendo un tema oramai quotidianamente dibattuto sulla stampa, vi è stata una fase dello sviluppo in Europa in cui molti paesi, almeno quelli con una matrice storica più solidaristica, hanno ritenuto che lo stato sociale fosse un bene in sé, cioè che avere una protezione sociale ampia fosse "giusto", come scelta valoriale. Quando però negli anni 90 è venuta alla luce la questione dell'ammontare eccessivo di risorse indirizzate all'intervento pubblico, del peso dei bilanci pubblici e quindi della pressione fiscale ad esso connessa, le scelte in tema di politica sociale sono state affrontate in modi nuovi e diversi. Questi nuovi approcci hanno preso, a mio avviso, vie che sono andate separandosi, soprattutto per la forte caratterizzazione ideologica che li ha contraddistinti. In questo dibattito, sono però anche emerse ipotesi, che non necessariamente si collocano in posizione intermedia rispetto alle due visioni contrapposte, ma che sono piuttosto un tentativo di assicurare la copertura ai rischi sociali e le opportunità di inserimento per i cittadini in modi più efficienti, cioè con una particolare attenzione alla sostenibilità anche finanziaria del sistema. Tali ipotesi sono il prodotto della una cultura riformista sociale dei paesi dell'Unione europea, ma sono anche il frutto di un approfondimento dell'apparato analitico degli economisti, che io ritengo di notevolmente importanza. Ed è proprio partendo da queste riflessioni, intorno alle quali da tempo lavoro, che ho tratto l'idea che esse possano con qualche sforzo analitico essere riadattate ai temi inerenti il ruolo e il funzionamento delle biblioteche.

Cosa voglio dire? In sostanza, con molta schematicità, si può osservare che da un lato si tende ad accentuare la difesa, se vogliamo anche un po' ideologica, delle finalità ridistributive degli strumenti del welfare, caricando gli oneri sul prelievo fiscale, intendendo questa modalità come un principio inalienabile, unica forma di rispetto dei diritti di cittadinanza. Dal lato opposto si è andati invece nella direzione di considerare gran parte di queste funzioni come attività interamente esercitabili attraverso meccanismi di mercato, ampliando le forme di offerta di tipo privato e assumendo una domanda in grado di pagare sostanzialmente questi servizi. Personalmente, ritengo che anche in base a elementi analitici, la seconda ipotesi non regga, salvo per specifiche e limitate situazioni. Anche la prima ipotesi però, presa senza alcun criterio critico, rischia di essere una scelta forzata e, spesso, poco equilibrata, se non altro perché poi, a fronte degli eccessi di pressione fiscale, si è visto che nel corso degli anni '80 e '90, gli esiti elettorali hanno di fatto interrotto strategie miranti anche solo a soluzioni attente a valorizzare i principi del riformismo sociale.

Credo che queste considerazioni abbiano rilievo, in quanto esse possono essere traslate, almeno in parte, ad alcune questioni di fondo che riguardano le biblioteche. Anche in questo caso, infatti, il dibattito è maturato seguendo ipotesi contrastanti. Da un lato, l'idea che le biblioteche siano essenzialmente una sede di accesso e di diffusione alla cultura, diritto fondamentale e funzione essenziale per la società. Tale assunto colloca le biblioteche in un ambito del primo tipo, dove non c'è ragione - e forse nemmeno il modo - di calcolare quanto i servizi offerti dalle biblioteche e, più in generale, dalle istituzioni culturali possano essere caricati sul fruitore, con la conseguenza che i costi stessi non possono che ricadere sulla società. Su questa visione gli economisti hanno in pratica poco da dire, perché essa si basa su una premessa di valore talmente forte che i problemi di allocazione di risorse scarse e di efficienza tecnica degli assetti organizzativi dei servizi finiscono in secondo piano. All'estremo opposto, quando non si considerano rilevanti né le esternalità né la distribuzione del reddito come vincolo all'accesso e l'equilibrio di bilancio rappresenta l'unico parametro di riferimento, diventa centrale la versione interamente orientata allo scambio di mercato, dominata da principi aziendalistici per ciò che riguarda l'organizzazione interna delle strutture.
Di fronte a questa alternativa, ho tentato di trovare un "filtro" che consentisse di trattare il tema della funzione e del funzionamento della biblioteca, percorrendo una via intermedia. Tale approccio ha peraltro radici solide nel dibattito sulla costruzione europea fin dal "Libro bianco" di Jacques Delors, anche se la ricerca di una via che combinasse vincoli ed efficienza economica con solidarietà e inclusione sociale ha subito qualche rallentamento nella prima fase del percorso di unificazione monetaria. Però, il tema si è poi comunque imposto ed è stato sostanzialmente rilanciato nella seconda metà degli anni novanta, con indicazioni importanti che, alla soglia del secondo millennio, con l'agenda fissata al Consiglio di Lisbona, ha prodotto punti di svolta rilevanti. In particolare, è stata ribadita la funzione essenziale della protezione sociale come fattore non di contrasto ma di sostegno allo sviluppo economico. Questo indirizzo ha significato per un verso ribaltare le proposizioni tipiche dell'approccio neoliberista ma, per altro verso, ha riportato alla massima considerazione la questione dell'onerosità dei singoli schemi di welfare. In altri termini, per esemplificare, nel paradigma dello sviluppo "socialmente inclusivo" è essenziale proteggere adeguatamente le persone dai rischi della vecchiaia ma, nella scelta del sistema pensionistico, è prioritario individuare i criteri per garantire la sostenibilità finanziaria del sistema. Lo stesso vale nella scelta di un sistema di ammortizzatori sociali per coprire il rischio di disoccupazione, o ancora quando si rendono accessibili a tutti, come diritto di cittadinanza, i servizi sanitari, evitando però che si verifichino sprechi o inefficienze di vario genere adottando principi di funzionamento di un tipo piuttosto che un altro. Questi esempi molto schematici sintetizzano comunque, a mio parere, tipi di condotta che possono interessare anche un settore come quello della fruizione dei beni culturali e, nella fattispecie, quello dei servizi bibliotecari.

Per procedere in questa direzione, ossia per cercare di trovare un inquadramento delle attività della biblioteca che richiamasse, non solo nella forma ma anche nelle finalità, un compito del welfare state, ritengo sia opportuno individuare alcune funzioni che non esauriscono la gamma delle attività ma che, credo, siano tra quelle più caratterizzanti. Tra esse vi sono innanzi tutto quelle già richiamate più volte da chi mi ha preceduto, come la conservazione di un patrimonio importante per la società: la radice del termine biblioteca, del resto, deriva proprio da questa funzione. Secondo la terminologia degli economisti, un'attività di questo tipo - la conservazione di un patrimonio socialmente utile - è un "merit good", un bene meritorio. Ciò significa che non è necessario che il valore di tale attività sia misurato con un meccanismo di scelta collettiva, ma che è utile in sé, come se fosse prescritto da una sorta di decisore "paternalista", posto al di sopra dalle preferenze dei cittadini. Tale principio rimedia ai comportamenti di "free riding", ossia al fatto che, per non sostenerne l'onere, nessuno sarebbe disposto a dichiarare il proprio grado di preferenza per questa funzione, pensando che essa sarebbe comunque svolta a carico di altri. In altri termini, la conservazione del materiale bibliografico è un bene per la società che però, in un processo partecipato di decisione, rischia di non trovare sostegno. E' lo stesso motivo per cui conserviamo i patrimoni dell'architettura o i beni ambientali: è giusto che ci siano risorse pubbliche collettive dedicate a queste funzioni, al di là di quanto può essere misurato in base alle preferenze individuali, come se la fissazione di questi obiettivi toccasse a un governante illuminato.

C'è poi una seconda funzione delle biblioteche, anch'essa rilevante, che possiamo definire di "facility". Essa consiste nel servizio reso quotidianamente a sostegno di specifici bisogni conoscitivi e di informazione. Chi vuole ottenere informazioni in modo organizzato, per attività di lavoro o anche per il tempo libero, ha nella biblioteca e nei suoi servizi, a maggior ragione con l'avvento dei servizi in rete di internet, un riferimento prezioso: che è poi la forma nella quale si concretizza il legame tra organizzazione del patrimonio conoscitivo e bisogni espressi dagli utilizzatori.
Una terza funzione, che in base a quanto abbiamo sentito questa mattina a proposito dello sviluppo delle tecnologie digitali è in rapida espansione, è quella "consulenziale", ossia la possibilità di rispondere a richieste specifiche di soggetti che utilizzano l'informazione per fini professionali. Tale funzione si differenzia dal servizio di utilità collettiva, in quanto è appropriabile dai singoli utilizzatori in modo esclusivo, con un impatto diretto sull'interesse individuale. Come tale, essa va distinta perché la copertura dei suoi costi comporta soluzioni diverse da quelle di carattere sociale.
Infine, ce n'è un'ulteriore funzione da rilevare, che personalmente definisco di "common room", che è il locale dove, ad esempio nelle università anglosassoni, le persone si ritrovano per bere il caffè a certe ore della mattina o del pomeriggio, approfittando dell'occasione per raccontare agli altri in che modo stanno sviluppando i propri interessi di ricerca, l'avanzamento dei lavori scientifici, o magari come organizzare un seminario. Questa modalità informale di circolazione della conoscenza e di discussione comune trova, soprattutto a livelli decentrati, una possibile sede proprio nelle biblioteche. Se si trascura questa funzione nella rete locale, si perde una parte importante dei compiti della biblioteca, anche come spazio fisico di ritrovo delle persone: si pensi ad esempio quale utilità essa può avere per i giovani o per le persone anziane che esercitano ancora una capacità di comprensione critica dei fatti e che intendono confrontarla con altri.

Questo esercizio di definizione delle funzioni ha un duplice scopo che riflette i due poli di riferimento economicamente rilevanti per il funzionamento di una biblioteca: uno è rappresentato dall'individuazione dei criteri di efficienza nell'organizzazione del servizio; l'altro è la qualità come parametro di misura dell'utilità sociale delle funzioni esercitate. I servizi bibliotecari, ma più in generale i servizi erogati dalle istituzioni culturali, valutati secondo i criteri di classificazione delle attività del sistema di welfare, appartengono a quella sfera di servizi in cui il funzionamento organizzativo ha un peso molto rilevante. Cioè, per spiegare meglio, se consideriamo funzioni come la scuola e la sanità, da un lato, e dall'altro gli ammortizzatori sociali e le pensioni, è evidente che nelle ultime due funzioni, il servizio conta relativamente poco sul risultato finale, mentre ciò che conta nel giudizio della collettività è l'ammontare del trasferimento monetario, in quanto parametro di efficienza di un modello di funzionamento di tipo assicurativo. Nel caso della scuola, o della sanità, il modo in cui viene erogato il servizio, ai fini dell'utilità sociale del servizio stesso, è fondamentale. Sicuramente il funzionamento di una biblioteca è molto più vicino a questa seconda tipologia. Quindi, tutte le problematiche di gestione, ampiamente trattate anche dai relatori che mi hanno preceduto, hanno un notevole rilievo per una corretta misura del risultato e dell'utilità del servizio stesso. A tale riguardo, ci sono approcci economici che potrebbero essere opportunamente presi in considerazione, in quanto in grado di garantire quei guadagni di efficienza che, come diceva prima il funzionario dell'assessorato della Lombardia, non sono banali tagli di spesa ma veri e propri miglioramenti qualitativi a parità di costo. In proposito ci sono studi interessanti che trattano aspetti critici del funzionamento di una biblioteca, come le modalità di conservazione dei materiali, avvalendosi di criteri quali la densità della fruizione, per arrivare a definire sistemi diversi di conservazione del patrimonio. Alcuni autori stanno anche da tempo lavorando in direzione delle nuove tecnologie di conservazione, a partire da quelle digitali. Da questi studi risulta che anche per il patrimonio documentativo "digitalizzato" ci sono modelli organizzativi più o meno efficienti, perché, a seconda della fruizione del materiale conservato, si possono adottare tecniche di gestione diverse.

Questi e atri aspetti che per brevità tralascio attengono a quella che potremmo definire la componente "aziendalistica", ossia uno degli aspetti cruciali nelle problematiche di funzionamento delle biblioteche, dal momento che, per quanto ho appena detto in merito alla tipologia funzionale, la qualità dell'erogazione del servizio ha un ruolo fondamentale nella misura dell'utilità. Per quanto riguarda invece la parte che dicevo essere più legata agli approcci dei beni collettivi, ci sono aspetti esenziali da collegare alle diverse funzioni elencate in precedenza che possono avere un importanza decisiva sul funzionamento e sulle prospettive di sviluppo del sistema bibliotecario. In primo luogo, occorre inquadrare il peso che si intende dare a questa attività, anche se una misura del beneficio collettivo è tutt'altro che un compito agevole. Per fare un esempio, si può dire che questa scelta allocativa è simile a quella che i decisori pubblici devono assumere quando assegnano risorse di welfare al servizio sanitario piuttosto che alla protezione per chi rimane disoccupato. In teoria, ogni scelta allocativa di questo tipo dovrebbe riflettere il vantaggio relativo che la società ne trae in termini di benessere. Il modo di calcolare tale vantaggio si presenta tuttavia come una procedura complessa. E' perciò naturale che nel tempo sia maturata la convinzione che debba esserci una proiezione delle preferenze individuali - un modo di rivelare il gradimento degli utenti - nel sistema di finanziamento di questi servizi, in aggiunta al modo tradizionale di procedere attraverso il finanziamento pubblico. L'articolazione delle modalità può perciò essere ampia, andando, a seconda delle funzioni, dal finanziamento pubblico, che sarebbe preferibile definire finanziamento a carico della collettività, a forme compartecipate per gruppi o individui, fino a un vero e proprio sistema di tariffe/prezzo. Anche su questi aspetti ci sarebbero molte cose da dire: non ultimo, per esempio, questa mattina si parlava di iniziative varie e dell'opportunità di trovare risorse finanziarie aggiuntive attraverso progetti su scala europea. E' sicuramente vero che abbiamo avuto notevoli ritardi in Italia nel fare ricorso a queste fonti, anche in sedi come le università e gli enti locali. Tuttavia, nelle agenzie che lavorano per gli enti locali c'è attualmente un'attenzione molto maggiore a queste iniziative, perché la scarsità delle risorse sta acuendo i bisogni e, di riflesso, affinando le strategie per ottenere finanziamenti. Anche a questo riguardo tuttavia, va ricordato che ci sono all'orizzonte cambiamenti significativi, nel senso di una maggiore restrittività degli accessi, dovuta alla riprogrammazione dei fondi strutturali europei. Ciò comporta due conseguenze. La prima è la necessità di essere ancora più selettiva nelle scelte in merito alle funzioni da sviluppare, con la possibilità che alcune di esse vengano incluse in progetti estesi a reti sempre più ampie di attori locali, nazionali e transnazionali. La seconda questione attiene alle finalità proprie di queste attività progettuali. C'è un trincio che nel gergo comunitario viene definito di "sostenibilità" delle azioni, che comporta una attenta valutazione in fase progettuale dei costi di funzionamento e di gestione di ogni servizio in fase sperimentale, perché i fondi relativi a un progetto servono a finanziare il "prototipo", la cui validità si misura anche nel fatto che la sperimentazione non deve cessare nel momento in cui finisce il finanziamento straordinario. Questa prassi, purtroppo assai comune negli ultimi anni caratterizzati da un vincolo crescente nella disponibilità di risorse finanziarie ordinarie ai livelli pubblici decentrati, rappresenta uno spreco di risorse e rischia di non essere nemmeno un aiuto all'innovazione. Ciò che occorre fare, dunque, non è rinunciare a questa importante fonte di aiuti, bensì riuscire a sviluppare progetti all'interno dei quali sin dall'inizio sia ben delineata la modalità di futuro sviluppo e di messa a regime del progetto stesso.

La complessità della ricerca di soluzioni in funzione dell'utilità collettiva, emerge anche dal modello che ho inserito in una pubblicazione sul tema delle biblioteche. L'esempio è solo dimostrativo, ma da esso emerge bene come un approccio articolato sulla funzione dei servizi erogabili in una biblioteca determina soluzioni più differenziate di quanto comunemente si assume. Tra i partecipanti al convegno, ad esempio, si discuteva riguardo al dimensionamento delle strutture. Tale scelta da un lato richiede razionalizzazione e, quindi, a prima vista una sostanziale concentrazione dei servizi. Dall'altro lato, però, bisogna stare attenti a non creare organizzazioni enormi che possono comportare inefficienze dal punto di vista organizzativo e che implicano di sicuro maggiori costi di accessibilità per gli utenti. Questo esempio, anche se limitato, è comunque significativo perché gli approcci "tecnocratici", concentrati sulla minimizzazione dei costi ma poco attenti al grado di soddisfazione dell'utenza, tendono molto spesso a fare leva unicamente sulle economie di scala. E l'economia di scala implica grandi dimensioni, mentre il pubblico, da questo punto di vista, ha invece una percezione più articolata, che a volte non coincide con gli obiettivi di costo dell'organizzazione che eroga il servizio e neppure, paradossalmente, con ciò che effettivamente rappresenta il massimo beneficio netto degli utenti stessi, a causa del noto problema dell'illusione fiscale, in quanto le persone sottovalutano l'onere effettivo perché omettono di includere nelle loro valutazioni il peso delle imposte necessarie a ripianare i disavanzi di un servizio in perdita. In casi come questo, ad esempio, sarebbe forse utile far percepire agli utenti in maniera più diretta le differenze nei costi di gestione dovute a una diversa scelta dimensionale, o a una gamma più o meno ampia di servizi. Per tale via si ritorna però a un discorso di "tariffe" che, quando sono applicate in modo appropriato, fungono da correttivo delle distorsioni che possono inficiare l'efficienza di decisioni pubbliche, salvaguardando comunque le preferenze degli utenti.

E passo alle conclusioni, riprendendo sinteticamente alcune cose già accennate. Ciascuna di esse in verità meriterebbe ben altri approfondimenti, che in parte sto facendo, ogni volta che riesco a dedicare tempo a questo argomento che, ripeto, mi interessa particolarmente. I punti cardine dei ragionamenti qui esposti, comunque, possono essere così riassunti:

  1. è necessario mettere in evidenza in modo più chiaro le diverse funzioni esercitabili nell'attività bibliotecaria, perché ad ognuna di esse può essere adattato un approccio economico specifico. Le metodologie dell'economia applicabili a questo ambito sono infatti eterogenee e richiedono una più chiara individuazione delle funzioni. In tal modo è possibile distinguere situazioni dove serve necessariamente una tecnica di copertura finanziaria di tipo collettivo da altre funzioni dove il metodo di copertura dei costi può avvenire attraverso il sistema dei prezzi (tariffe), con una logica assimilabile sostanzialmente a quella di un mercato dei beni/servizi privati. Non c'è quindi da scandalizzarsi se si scelgono vie composite di questo tipo, in quanto esse offrono l'opportunità di avere un apporto di risorse private, dato che non può essere solo il mecenatismo ad integrare l'apporto finanziario pubblico, specie quando è manifesta l'utilità che i singoli individualmente traggono dal funzionamento di queste strutture;
  2. esiste poi un problema più specifico di risorse pubbliche, essendo questa una delle attività nelle quali comunque l'utilità sociale è molto importante. Come abbiamo sentito più volte questa mattina, questo è un aspetto centrale che va trattato con attenzione. Un elemento critico, ad esempio, è quello che è stato richiamato in precedenza da Busetto: ovvero il rischio che i meccanismi di finanziamento pubblico - in base alla nota tesi sui fallimenti dello Stato - non incentivino l'efficienza, anche distorcendo l'impiego dei fattori. L'esempio fatto - aumento o conservo i posti di lavoro e non compero libri - può sembrare un affermazione molto dura ma deve far riflettere perché è indicativa di una delle tante possibili distorsioni;
  3. c'è un problema, peraltro ricorrente in molte altre attività a carattere collettivo, di corretta misurazione del beneficio pubblico. Anche questo è un aspetto critico per la disciplina degli economisti. I quali, spesso si sottraggono dallo sforzo di arrivare a un'appropriata valutazione, affermando che essa è compito dei filosofi sociali o di chi altro fosse in grado di fare corrette misure del valore sociale di un servizio ad elevata esternalità. Questo è infatti un problema che la categoria degli economisti ha sempre trattato con un certo imbarazzo, senza trovare mai una buona e condivisa soluzione. Rimandare la scelta ai meccanismi politici delle decisioni collettive può allora essere l'unica via, se però tale processo è supportato da strumenti adeguati. Il bilancio sociale per esempio è un elemento di trasmissione importante perché ci siano espressioni di scelta collettiva più coscienti e consapevoli. A tale proposito, e finisco, non si può comunque dimenticare che nella teoria delle scelte collettive esiste un noto dilemma di circolarità delle preferenze che può ostacolare un processo decisionale democraticamente partecipato. Torna utile in proposito, quanto abbiamo sentito in precedenza circa il dibattito negli Stati Uniti, dove una nicchia di persone decide per tutto il resto del mondo. Il problema esiste: da un lato la difficoltà a determinare ciò che effettivamente le persone desiderano di più, perché oltre alla questione della circolarità delle preferenze, la scelta collettiva in parte dipende anche dall'allocazione delle risorse decisa in precedenza per dotare un sistema sociale di strumenti di conoscenza. Detto in altri termini, a volte sembra inevitabile che debba servire la scelta di un governante illuminato, in grado di andare oltre a quello che la collettività in un dato momento è capace di esprimere come preferenza. Ma anche questo rischia di essere un meccanismo che soffre di un vizio di circolarità, in quanto l'allocazione di risorse per la cultura innesca processi virtuosi. Cioè, dalla maggior cultura probabilmente nasce una maggiore consapevolezza della necessità di allocare ancora più risorse in quella direzione. Se si fa l'operazione opposta, difficilmente si supera l'impasse, e molti governi in Europa in questo momento, travagliati dalle difficoltà dei loro bilanci pubblici rischiano di entrare in questa spirale. Si tagliano più risorse in questi settori di quanto la collettività sembra voler chiedere, ma la stessa collettività, culturalmente meno attrezzata, di fronte a difficili scelte di bilancio fiscale, potrebbe arrivare essa stessa a vedere con favore ulteriori riduzioni di spesa per la cultura e l'istruzione.

Copyright AIB 2005-08-09, ultimo aggiornamento 2005-10-02 a cura di Marcello Busato e Giovanna Frigimelica
URL: https://www.aib.it/aib/sezioni/veneto/vinay15/geroldi04.htm


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