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"16. Seminario Angela Vinay"
bibliotECONOMIA
attività e passività culturali

Beni culturali, cultura, sviluppo

Federico Acerboni, Docente presso l'Università Ca' Foscari - Egart


"Attività e servizi culturali ... si traducono spesso a breve termine in passività sul piano finanziario..." la riflessione conseguente a questa affermazione, contenuta nell'introduzione al seminario, deve necessariamente partire dalla ricerca di una condivisa definizione di "passività sul piano finanziario".
Partendo dalla scienza economica ed in particolare dalla disciplina contabile è possibile definire la "passività sul piano finanziario" come una condizione nella quale può trovarsi un sistema economico quando questo non sia in grado di generare risorse economiche sufficienti (nel breve, medio o lungo periodo) per sostenere l'attività del sistema stesso. Tale definizione sembra in un primo momento essere correttamente applicabile al "sistema culturale" [1] del nostro paese, poiché lo stesso per poter sopravvivere necessita del finanziamento pubblico. Il sistema culturale non è quindi in grado di acquisire risorse dal libero mercato di riferimento, sufficienti a garantirgli la continuità della sua azione e la sua sopravvivenza nel corso del tempo. In altri termini i bilanci delle organizzazioni culturali registrano nella quasi totalità del casi, una differenza negativa tra le entrate dirette e i costi complessivi. Lo strumento del bilancio evidenzia pertanto una perdita economica strutturale derivante delle attività svolte. Come appare chiaro è proprio in conseguenza dell'applicazione della strumentazione contabile che è possibile misurare il risultato economico dell'attività di una organizzazione ed è dalla "sintassi" propria della contabilità che si deve partire per chiarire se le organizzazioni culturali sono realmente passive o meno sul piano finanziario.

La prima passività sopra evidenziata è infatti il risultato di una misura contabile che registra correttamente tutti i costi sostenuti dall'organizzazione ma che non tiene conto, al contrario, di tutti i ricavi derivanti dall'azione dell'organizzazione stessa. Il bilancio registra infatti i proventi diretti, quelli che si possono definire come "entrate proprie", che nascono dal rapporto tra l'organizzazione ed il mercato, come ad esempio le entrate derivanti dai biglietti di ingresso, dai servizi aggiuntivi, dai sostenitori, dai partner (sponsor ma non solo) e anche dall'ente pubblico nel caso finanziamenti destinati a specifiche attività o progetti. Questa prima misura è però incompleta. E' infatti necessario, per avere una misura più realistica, compiere due correzioni al bilancio che derivano da due operazioni, la prima di ordine concettuale e la seconda di ordine più strettamente politico.
Con la prima si deve chiarire che le entrate derivanti dal finanziamento pubblico, registrate a bilancio sotto la voce contributi, non sono, come spesso vengono definite con accezioni negative un "sostegno", un "contributo", un "aiuto" al sistema culturale ma sono il "prezzo" che la collettività ritiene utile e corretto pagare per poter usufruire dei servizi offerti dalle organizzazioni culturali. La società nel suo complesso ritiene infatti che i beni culturali e le attività culturali ad essi legate siano dei beni e dei servizi che bisogna acquistare, poiché essi sono funzionali ad un bisogno specifico che potremmo individuare nel sostegno al benessere collettivo ed individuale. La collettività ritiene cioè di dover acquistare il bene "cultura" come un bene utile ai fini propri della collettività stessa. Non si dovrebbe pertanto valutare il finanziamento pubblico come una "concessione" di un sostegno ad una attività meritevole, ma come una attribuzione di "valore" ai beni e ai servizi culturali, che trova una sua seppur perfettibile misura in termini economici.

Così inteso il finanziamento pubblico diviene un "provento" derivante dell'azione delle organizzazioni culturali e come tale dovrebbe essere registrato nel bilancio, andando così a modificare il risultato economico e finanziario registrato come primo passivo.
La seconda correzione al bilancio deve nascere invece da una "rivoluzione" politica che permetta di attribuire in termini diretti al sistema culturale le risorse che lo stesso sistema è in alcuni casi in grado di generare. In altri termini si tratterebbe di attribuire le esternalità positive alle organizzazioni che le generano. Proprio come si ritiene corretto che il generatore di esternalità negative debba sostenere, almeno in parte, il costo che da esse deriva, così si dovrebbe ritenere corretto che il generatore di esternalità positive possa usufruire dei vantaggi economici misurabili derivanti dalla sua azione. Recentemente l'Università Cà Foscari di Venezia ha prodotto uno studio che ha calcolato l'indotto derivante dalle attività svolte della Fondazione Biennale di Venezia. Dalla ricerca è emerso che le attività complessivamente sviluppano un indotto di circa 55 milioni di euro mentre la sola mostra del cinema sviluppa un indotto di circa 17 milioni di euro. Con questi dati è pertanto corretto ritenere che una parte di questa ricchezza debba essere registrata anche nel bilancio della Fondazione Biennale. Appare chiaro come non tutte le organizzazioni culturali siano in grado di sviluppare degli indotti così elevati e pertanto il valore dell'esternalità positive varierà moltissimo da zona a zona, ciò non di meno le organizzazioni culturali sono legittimate a pensare di ampliare le proprie entrate complessive inserendo anche questi valori nel loro bilancio.
Con ogni probabilità con queste due correzioni la prima passività registrata subirebbe, in molti casi, un ridimensionamento e forse il sistema culturale non apparirebbe più così incapace di generare le risorse sufficienti al proprio mantenimento.

Approfondendo l'analisi della "sintassi" del bilancio è ulteriormente necessario valutare come il bilancio stesso, così come è applicato alle istituzioni culturali, sconta dei limiti sia di ordine temporale che spaziale.
Da un punto di vista temporale infatti troppo spesso l'attenzione dei decision maker è focalizzata sul breve periodo, cioè al risultato annuale, mentre l'azione di una organizzazione culturale si sviluppa certamente su di un arco temporale di medio - lungo periodo. Il bilancio annuale dovrebbe essere valutato come un momento, un gradino di un più ampio processo che si sviluppa in un tempo più lungo. Sono pertanto necessari dei bilanci pluriennali in grado di registrare i cambiamenti che caratterizzano le azioni delle organizzazioni culturali. Come è noto infatti, in ragione delle specificità proprie delle organizzazioni culturali, dell'ambiente in cui operano e delle attività stesse, i processi attuati da queste organizzazioni si realizzano mediamente in tempi lunghi. A queste prerogative deve necessariamente adeguarsi anche la stesura e la lettura del bilancio.
Il secondo limite all'applicazione del bilancio ad una organizzazione culturale deriva da problematiche di ordine spaziale. Come evidenziato fin dall'inizio una organizzazione culturale opera in un sistema, ciò a dire che di norma su di un territorio insistono diverse istituzioni culturali le cui azioni, anche se concorrenziali, sono comunque integrate. Le attività culturali di un comune ad esempio concorrono complessivamente e nella migliore delle ipotesi volontariamente al benessere e allo sviluppo educativo della collettività di riferimento, grazie ad un processo di consumo dei beni culturali che è ad utilità marginale crescente. Le attività di un territorio sono pertanto guidate all'integrazione e conseguentemente anche la misura economica complessiva dovrebbe registrare questa condizione. Non si dovrebbe pensare e realizzare solo il bilancio delle singole organizzazioni culturali ma si dovrebbe anche predisporre un bilancio consolidato nel quale far confluire i bilanci delle organizzazioni che operano sul territorio di riferimento (quartiere, comune, provincia, regione, stato...).

Lo strumento del bilancio la cui "neutra" applicazione ad una organizzazione culturale misura una differenza tra l'attivo e il passivo necessita, come chiarito, di una sua "revisione" con la quale si possa trovare una condivisa definizione di "passività sul piano finanziario".

[1] L'accezione "sistema culturale" è qui intesa in senso restrittivo si esclude quindi ogni riferimento all'industria culturale.


Copyright AIB 2006-09, ultimo aggiornamento 2006-10-03 a cura di Marcello Busato e Giovanna Frigimelica
URL: https://www.aib.it/aib/sezioni/veneto/vinay16/acerboni05.htm


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