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"16. Seminario Angela Vinay"
bibliotECONOMIA
attività e passività culturali

Tavola rotonda
Ricchi e stupidi per quante generazioni?

Giorgio Busetto, Direttore dell'ASAC - Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Fondazione La Biennale di Venezia


Vorrei cominciare da questo: "Vale più un vecchio nel canto, che un giovane nel campo", perché secondo me si inizia sempre dall'ultimo punto in cui si è arrivati e vorrei cominciare con una domanda: quanti anni aveva chi ha coniato questo motto?
La questione è assolutamente radicale e può essere applicata a tutto quanto quello che è stato detto qui stamattina, cioè esiste sostanzialmente un'estrema varietà, ma direi addirittura una disarticolazione complessiva e anche, in qualche maniera, ovvia e necessaria dei punti di vista; tant'è che qui si sono poi sviluppate queste questioni su due linee, c'era chi parlava dei fatti generali e non delle questioni delle biblioteche e chi parlava invece delle questioni delle biblioteche. Ma è evidente che le due cose necessariamente si tengono, che questa disarticolazione complessiva dei dati, degli stati, del pensiero e così via, è una qualche cosa che corrisponde all'attuale, torrenziale crescita del mondo. Da questo punto di vista noi stiamo vivendo una stagione assolutamente straordinaria, difficile ma interessante, in cui questa molteplicità che ci si offre è complessa e quindi non dominabile. In questo sta la crisi radicale della nostra classe dirigente, e dico nostra pensando a quella di tutto il mondo, perché se il Pentagono si lascia sorprendere e in parte distruggere da tre o quattro terroristi che prendono un aereo, avendo speso quello che ha speso per infrastrutturarsi, per costruire la più grande forza armata del più grande impero del mondo, è evidente che esiste una gracilità strutturale ovunque, è evidente che non c'è oggi una cultura dirigente in grado di affrontare in termini organizzativi la complessità e il divenire del mondo con tutte le sue conseguenze.

Questo deve riportarci a dei dati molto precisi. Noi assumiamo come principio che la cultura e quanto ad essa attiene: l'educazione e così via, siano fondamentali per il mantenimento e lo sviluppo della nostra società. Ma nel momento in cui proponiamo tale assunto dobbiamo anche essere persuasi che lo sono altrettanto gli altri aspetti, le comunicazioni, fisiche e virtuali, la sanità e così via; cioè viviamo in una situazione complessa, che a un certo momento viene riportata al PIL per un verso, al bilancio dello Stato per un altro, e con questa realtà noi siamo chiamati a fare i conti ciò che inesorabilmente comporta un problema di scelte.
Lo ricordava adesso Luciani, e l'aveva detto bene Ghetti questa mattina: queste scelte dovrebbero essere prima di tutto le scelte generali e fondamentali, il disegno complessivo del destino del paese: cioè l'Italia come vuole attrezzarsi complessivamente? Da dove ricavare quella ricchezza che è indispensabile per affrontare la distribuzione della ricchezza? Perché la povertà non si distribuisce, la povertà arriva da sola dappertutto, è semmai la ricchezza che può essere ridistribuita, ma non può essere ridistribuita se non viene prima creata, quindi questo è il primo grande punto di partenza.
Tant'è che anche le piccole ricchezze che possono essere create sotto costo all'interno dei nostri servizi, possono avere un valore simbolico assolutamente interessante e io credo che sia fondamentale, nel disegno complessivo e nei disegni settoriali minuti, che dobbiamo proporre giorno per giorno, tenere sia il piano concreto e pratico, sia quello simbolico delle nostre azioni; in altri termini o esiste un punto di riferimento morale, per cui si danno dei principi fondamentali, oppure non si ragiona. In questo senso la Costituzione della Repubblica Italiana, molto opportunamente, citata questa mattina, è per me un grande punto di riferimento e il fatto che si voglia modificare la Costituzione prima di averla inverata, quindi prima di avere messo a regime quel disegno e quindi di poterlo effettivamente e correttamente discutere, è una cosa, dal punto di vista morale e culturale, molto dubbia, non immediatamente condannabile, si badi bene, ma certamente molto dubbia.

La Costituzione fissa determinati principi e con questo apre la discussione sui mezzi per conseguire i fini che sono indicati, dopo di che è tutto evidentemente opinabile, purché non si perda di vista il fine.
Per esempio, sulla questione della gratuità o meno dei servizi, sull'assoggettare o meno a pagamento i servizi, esiste il problema di ciò che è pagato dall'individuo e di ciò che è pagato dalla collettività, che comunque paga quei servizi. La collettività per pagarlo deve fare ricorso alla tassazione, all'imposizione fiscale; ed esiste una situazione nell'occidente, tale per cui l'imposizione fiscale, oltre una certa soglia, non è comunque tollerata. Se noi dobbiamo tenere in equilibrio il sistema, e dobbiamo provvedere a tutti gli elementi del sistema, esiste anche questa questione da porsi: l'imposizione fiscale è una fatto altamente morale, ma la moralità diffusa è più bassa di quanto sarebbe necessario per mantenere l'insieme delle risposte complessive. Anche perché man mano che si perfezionano e si estendono i servizi, il loro costo cresce progressivamente, e quindi di nuovo qui si pongono delle questioni radicali in termini di scelta, sulla tassazione da una parte, sull'imposizione fiscale, dall'altra sulla quantità e qualità dei servizi.
Ma come facciamo a giudicare la necessità quantitativa e qualitativa dei servizi? E' qui che comincia entrare il nostro specifico professionale per quello che riguarda i servizi di cui ci occupiamo noi e questo è certamente un dato chiave: la valutazione, e come poter affrontare la questione della valutazione, assumendo che sia stato preventivamente risolto, o comunque che sia mantenuta aperta la discussione sulla questione più generale della collocazione del nostro specifico servizio nell'ambito più complessivo dei servizi e nell'ambito più complessivo della forma che la società a cui apparteniamo intende darsi e all'interno della quale noi dobbiamo collocare ciò che facciamo.

All'interno di questo sistema esistono evidentemente delle risposte primitive, assurde, non solo di individui, ma anche di gruppi, risposte primitive e assurde che vengono, in maniera proprio viscerale, da una grande quantità di individui e di questo noi dobbiamo assolutamente tenere conto.
Noi siamo parte di una élite che ha una competenza, una formazione assolutamente particolare. Da che mondo è mondo, sono le élites, soprattutto nelle democrazie, che gestiscono il potere e indirizzano e guidano la società, potere diretto e potere indiretto, quello della creazione di quelle forme della cultura che stabiliscono quelle che sono le finalità, quelli che sono i destini, quelle che sono le scelte che la collettività si deve dare. Allora siamo noi in grado di rispondere a questa nostra condizione di élite, suggerendo quelle che sono le scelte che la collettività si deve dare e con quali mezzi? E' evidente da tutto, anche da quello che è stato detto questa mattina, che il livello di informazione di cui noi disponiamo è bassissimo, è inferiore a quelle che sono le necessità di conoscenza intima delle questioni e senza questa conoscenza intima, in realtà, qualsiasi decisione, qualsiasi risposta che si dia a dei problemi è almeno in parte, necessariamente caduca, monca, incompleta. Noi dobbiamo essere consapevoli di questo dato, muoverci su questo terreno, sapendo che le scelte che noi facciamo e le scelte che riusciamo a indurre altri a fare portano con sé elementi di debolezza. Consideriamo che la retorica è l'arte di modificare il mondo attraverso la persuasione del prossimo, e noi ci siamo formati nella retorica, quindi siamo specialmente addetti ai lavori in questa concezione politica della società. Ebbene in tutto quanto questo, noi dobbiamo essere consapevoli che queste indicazioni, queste scelte, hanno un ritorno presumibilmente positivo, altrimenti non lo avremmo indicato, ma anche almeno parzialmente negativo, e quindi da correggere.

Su questo fatto, sulla esigenza della correzione a posteriori, si gioca in realtà tutto quanto l'equilibrio della cultura dirigente, perché oggi la velocità delle realizzazioni e soprattutto la velocità delle comunicazioni, rende il ritorno della parte negativa delle scelte estremamente più veloce di quello che era nel passato, il che moltiplica le interdipendenze e rende più complessa la decisione da formare.
Questo è un problema radicale, che va poi riportato a tutte quante le decisioni, a tutte quante le scelte, comprese quelle che si fanno dentro alle nostre biblioteche. Allora, se il problema che noi poniamo è quello di avere accesso a risorse ulteriori rispetto a quelle date, questo è un problema eminentemente politico; siamo in grado di determinare questa erogazione superiore, questa maggiore quantità di risorse da indirizzare sui nostri servizi o no? Io credo che se noi rispondiamo di no, dobbiamo fare i conti con il fatto che ci parliamo solamente tra di noi e non siamo noi che decidiamo l'allocazione delle risorse, e allora dovremo sviluppare quella che è la nostra attività in funzione dell'indirizzo di risorse verso i nostri servizi.
Un modo per fare questo è certamente quello di dar maggiore efficienza ai servizi. Ma i servizi non si muovono nel vuoto, considerano tutta quanta una serie di vincoli che sono non solo quelli delle risorse, ma anche quelli delle norme, quelli delle condizioni date, risorse infrastrutturali e risorse di parte corrente. Quindi è all'interno di questo che noi ci muoviamo, dobbiamo partire da questa consapevolezza, tutto quello che noi riusciamo a fare in termini di miglioramento del servizio, di efficienza e di efficacia, rafforza la nostra credibilità e rafforza la nostra capacità di indurre il decisore a indirizzare risorse verso i servizi di cui ci occupiamo.
Per altro verso, se la risposta che noi diamo è ragionevolmente negativa, e noi non riusciamo almeno in questo contesto a indirizzare maggiori risorse, o significativamente maggiori risorse, in direzione dei nostri servizi, come ci attrezziamo? Quali sono le scelte che noi facciamo? Quando il topolino è dentro a alla gabbia, è lì che deve identificare il suo territorio e muoversi dentro a questo territorio e stabilire come gli sia più conveniente muoversi all'interno di esso.

Su questo noi dovremo sviluppare un'ulteriore livello di consapevolezza e di competenza; è vero che siamo nella competizione, è vero che le regole del mercato ci riguardano, in maniera sempre più immediata; diceva Cesare De Michelis oggi "ma in fondo il mercato è una competizione come una partita di calcio" e quando lo diceva, mi veniva in mente quella finale di Italia Germania, di tanti anni fa che fu risolta con un gol vincente di Rivera, io credo che molti di voi la ricordino. Ebbene, perché quella partita fu vinta 4 a 3? Perché venne quel gol alla fine dei supplementari? Non basta per me dire, "ma chi segna azzera, questo è il discorso della competizione"; ma come si fa a vincere la competizione? Come mai due competitori, così intercambiabili, così eguali di livello, si vedono alla fine, uno vincente e uno perdente? Ecco solamente e su questo terreno alla fine deve essere sviluppato il ragionamento, quale è la nostra competizione? Chi sono i nostri competitori? E, rispetto ai nostri competitori, quale è l'attrezzatura di servizio che noi ci diamo? Come strutturiamo il nostro lavoro? Come riteniamo di poterla vincere questa competizione?
Evidentemente il punto di partenza è il pubblico e il servizio al pubblico che deve necessariamente conoscere le forme del passato, ma anche quelle del futuro, e noi dobbiamo di necessità attrezzarci con quello che è il divenire dell'accumulazione del sapere, della trasmissione del sapere che non è più affidata agli stessi mezzi di un tempo: è tutto in evoluzione continua, quindi la sofisticazione di cui noi dobbiamo disporre è evidentemente superiore rispetto a quella del passato e qui, se la coperta è corta, bisogna decidere da che parte tirarla. Possiamo vedere di riuscire a fare allungare la coperta; abbiamo visto per esempio nella distribuzione della spesa pro capite per la cultura, a livello nazionale, che ci sono delle differenziazioni, quindi evidentemente c'è uno spazio per crescere, ma c'è anche quello per diminuire. Allora la coperta può diventare ancora più corta, oppure può diventare più lunga, difficilmente però la coperta sarà sufficiente a coprire tutto quanto, e dunque questo porrà di necessità il ricorso alle scelte, che secondo me devono essere fatte non a partire dalla struttura, non a partire dagli operatori, ma a partire dalle finalità, a partire dal pubblico, dal servizio al pubblico: certo, cercando tutto quanto quello che può servire a razionalizzare la condizione di bilancio fra entrata e uscita, quindi tutto ciò che aumenta l'entrata e tutto ciò che diminuisce l'uscita, ma fatto salvo il vincolo dell' "a chi serve", il vincolo della destinazione, cioè il vantaggio per l'utente. Anche qui poi le modalità saranno tutte quante da vedere.

Ricordiamo che la nostra Costituzione vuole la rimozione degli ostacoli per i capaci e meritevoli: bisognerebbe trovare il modo di individuarli, di tesserarli e con quella tessera devono avere gli ostacoli che si rimuovono davanti al loro cammino. Anche perché noi abbiamo un assoluto bisogno dei capaci e meritevoli, di metterli in funzione, di disporre di creatori di qualche genere, di creatori debitamente preparati, perché senza di questo non disponiamo dell'attrezzatura necessaria all'informazione, alla scelta e quindi al governo, alla conduzione della collettività verso destini di miglioramento, destini indispensabili.
L'allungamento della vita in termini medi è un indice significativo dei miglioramenti introdotti nella nostra società, nel nostro modo di vivere, è quella la direzione che noi dobbiamo prendere, tutto quanto ciò che conduce l'individuo ad un modo di vivere, a una condizione di vita, che sia più elevata rispetto a quella passata. Qual è la condizione di vita più elevata? Io credo che esista certamente un livello anche interiore, un livello anche intellettuale, morale, spirituale e non solamente un livello materiale e tuttavia credo che sia indispensabile garantire un determinato livello materiale per lasciare spazio allo sviluppo della parte più caratterizzante dell'uomo.
La decadenza della qualità conseguente alla massificazione, in questo senso, mi impressiona poco. Do per scontato che esistano dei numeri che determinano delle condizioni, all'interno di questo devo comunque trovare degli spazi di efficienza che garantiscano le condizioni migliori, non solo per tutti, ma per ciascuno, e per ciascuno la soddisfazione dei propri bisogni, secondo quel grande insegnamento di individuazione che viene in proposito dalla Regola di S. Benedetto, è esattamente questo. Quindi di nuovo la sofisticazione della scelta e dell'adattamento del servizio.

Quella citazione di Angela Vinay che c'è nel prospetto del programma, è estremamente interessante laddove dice che noi abbiamo "il compito di fornire ai clienti quello che vogliono da noi, non quello che abbiamo" e leggendo le sue parole a me è venuto immediatamente in mente l'insegnamento che io ho avuto da Giorgio Emanuele Ferrari nella Marciana, che era esattamente questo. Lui diceva utenti increduli e spazientiti, convinti spesso che la biblioteca avesse tutti i libri del mondo e che li ricevesse in dono dagli editori: "E' più normale che la biblioteca non abbia il documento che viene cercato che non che lo abbia, il documento lo avrà il sistema bibliotecario; se noi dominiamo la conoscenza del sistema dei documenti attraverso il controllo bibliografico siamo in grado di sapere che il documento esiste; attraverso il controllo catalografico siamo poi in grado di sapere dove si trova".
Mi meraviglia sempre riscoprire ad ogni svolta del percorso professionale, ad ogni sosta di riflessione sul nostro lavoro, la forza, la presenza, la bontà e semplicità dell'insegnamento dei nostri maestri e come l'efficacia ne perduri grazie al valore dei principi così spesso poi sommersi dalla profluvie delle regole del nostro tempo, buone solo ad annegare nella melassa della falsa correttezza politica il vero spirito del servizio.
Concludo così. Mi rendo conto di essermi espresso con la massima genericità immaginabile, ma più di questo mi pare in questo contesto di non poter fare. Bisognerebbe riprendere questi lavori da dove sono arrivati ora e scendere con un'analisi più specifica in ognuna delle questioni che sono state prospettate, sia in termini di fornitura di dati, sia in termini di ipotesi di soluzioni, eventualmente diverse da quelle che sono state finora adottate.

Mauro Guerrini: Grazie a Giorgio Busetto, che ha introdotto un altro tema, la discussione oltre a quelle sulla gratuità, servizi e così via, che è la formazione del ceto dirigente, che è un tema altrettanto tabù come la gratuità dei servizi, di cui si parla pochissimo, forse perché si fraintende il discorso legato alla democrazia, che si ha in contrapposizione con quello legato alla creazione di un ceto dirigente competente, capace, competitivo, competitivo è proprio una giungla, ma in una società che vorremmo democratica, e questo credo, non si può certo fare un'analisi scientifica, ma quando una società non investe più in questo segmento limitatissimo, ma estremamente alto della propria comunità, questa società poi si ferma e avremo, ritorniamo ancora alla frase della mattinata, una stupidità che prende il sopravvento e che porta inevitabilmente alla morte.


Copyright AIB 2006-09, ultimo aggiornamento 2006-10-03 a cura di Marcello Busato e Giovanna Frigimelica
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