«Bibliotime», anno III, numero 1 (marzo 2000)


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Vanna Pistotti

Peer review e riviste mediche: quale futuro?



Nel maggio del 1995 Ronald LaPorte dell'Università di Pittsburg ha pubblicato, insieme ad altri autori, un lavoro sul "British Medical Journal", peraltro oggi citatissimo, dal titolo La morte dei periodici biomedici [1]. Scritto con una grazia e una delicatezza inusuali per un articolo che, anche se usciva dai canoni della pubblicazione medica, si riferiva ad un pubblico specifico, ha innescato una bomba in un mondo che per anni ha dimostrato un certo immobilismo nella diffusione dell'informazione. Se si considera che il primo editore che ha creato una versione elettronica della sua rivista cartacea è stato proprio il "British Medical Journal" nel 1998, si può dire che questo articolo si è dimostrato, oltre che di notevole attualità, un precursore di tutto ciò che si è avverato in questi ultimi due anni.

Difatti, auspicando la possibilità di avere un luogo dove poter trasferire tutta l'informazione riguardante la salute, e dunque non solo quella canonicamente pubblicata dalle riviste ufficiali, in esso si avanza l'ipotesi già cara ai fisici di usare un server. Una grossa fetta dell'articolo tratta proprio del sistema "peer review". Il procedimento di controllo della "bontà" di un articolo si basa ancor oggi sul giudizio di un gruppo di esperti, nel nostro caso ricercatori o clinici, che lavorano nel campo in cui l'articolo sottoposto si colloca. Gli articoli ricevuti dalla redazione di una rivista vengono inoltrati a due o più revisiori con la preghiera di commentarli. Dopo di ché ritornano alla rivista, e se la risposta è positiva, pubblicati. In caso contrario possono essere o rifiutati o rinviati all'autore con la richiesta di ulteriori modifiche o spiegazioni. Tra la sottomissione e la pubblicazione possono passare anche più di sedici mesi, dipende da quanto dura la "danza", perché a volte di ciò si tratta, tra gli autori e l'editore.

Proprio per questo LaPorte auspica che vengano presi in considerazione nuovi sistemi, uno dei quali potrebbe essere la possibilità di pubblicare eliminando la "peer review", ossia una sorta di pre-print che lasci alla comunità intera la decisione se un lavoro sia valido o no, e il mezzo da utilizzare Internet. Il concetto è che se un lavoro non è scientificamente valido la stessa comunità lo rifiuterà poiché in grado di valutarlo. Un po' come scegliere un film sulla base del commento pubblicato su un giornale da un critico invece che sceglierlo perché uscito da un'indagine fatta sugli spettatori.

LaPorte si spinge ancora oltre e, anticipando il discorso su come usare quell'indicatore chiamato fattore d'impatto (basa sulla frequenza della citazione della rivista, e ancora oggi importantissimo, a torto o a ragione, per ottenere fondi di ricerca o per fare carriera), propone di usare lo stesso sistema conteggiando su Internet quante volte il lavoro viene letto e/o scaricato, o addirittura lasciando al lettore stesso la possibilità di dare un voto elettronico al lavoro.

A questo primo articolo (che ha scatenato da un lato grosse polemiche, provenienti soprattutto dagli editori delle maggiori riviste mediche, e dall'altra un entusiasmo forse esagerato degli autori, che poi sono anche i lettori degli articoli stessi) se ne sono aggiunti molti negli anni a seguire. Uno decisamente "forte" è un editoriale del "British Medical Journal", che è stato tra i primi ad affrontare questo problema e a registrare gli umori della comunità. L'articolo, dal titolo Opening up BMJ peer review, uscito nel gennaio 1999 [2], fa una dura critica all'attuale sistema, definendolo lento, economicamente troppo caro, altamente soggettivo, incline ai pregiudizi, e spesso non in grado di percepire frodi (delle quali esistono prove ben documentate). Ma una delle critiche maggiori viene dall'abitudine sia dei revisori che degli editors di non pubblicare i cosidetti "risultati negativi" considerandoli inutili per l'avanzamento della ricerca. Tali risultati si stanno invece dimostrando utilissimi, soprattutto nella pratica clinica ma, proprio per la loro mancata pubblicazione, sono difficilissimi da recuperare.

Vi sono però altrettanti motivi buoni da parte di chi è contrario ad una esclusione della valutazione da parte di revisori. Il primo è che si potrebbe andare incontro alla disseminazione di informazione di povera o cattiva qualità, e che lo sforzo che il lettore dovrà fare nel discernere potrebbe far perdere tempo prezioso alla ricerca. Il secondo è che, essendo Internet una rete pubblica, non vi sarà più modo di controllare ciò che il paziente o comunque la comunità "laica" (in particolare i giornalisti, scientifici e non) apprenderà da queste notizie. Una sbagliata interpretazione di dati, spesso ancora in fase di ricerca, può causare un vero e proprio disastro. Il paragone con i fisici, che per primi hanno dato l'addio alla "peer review", non regge se si pensa che in medicina un errore può costare una vita umana.

Da quell'ormai lontano 1995 molte cose sono cambiate, e lo scenario in cui si muove l'informazione scientifica sta assomigliando sempre più a quello previsto da LaPorte. Accanto a progetti nazionali vediamo quelli della singola editoria sia classica che accademica o delle società scientifiche.


PubMed Central (E-Biomed)

La proposta del direttore del National Institutes of Health, Dr. Harold Varmus, vede nel problema "peer-reviews" uno dei cardini del sistema. Gli autori potranno scegliere di sottoporre i loro rapporti per via elettronica in due modi. Nel primo potranno richiedere che la revisione venga sì effettuata, ma da una rivista scelta tra quelle che aderiscono al progetto, attualmente poche ma in crescita. Se il manoscritto viene accettato, la versione finale verrà immediatamente messa sul server della National Library of Medicine e, in un secondo tempo, pubblicato nella versione cartacea della rivista prescelta. Se il manoscritto viene invece rifiutato, gli autori potranno chiedere che venga sottoposto a revisione in un'altra rivista del circuito, oppure scegliere un secondo modo: sottoporre l'articolo direttamente a PubMed Central senza passare dal peer-review: è la stessa scelta che potranno fare gli autori che decidano subito di non sottoporsi a revisione. In ogni caso, anche per questa seconda scelta, gli autori dovranno sottoporsi all'approvazione di almeno due revisori scelti dal comitato che regolerà l'intero progetto. Praticamente viene messa in pratica l'esperienza del Los Alamos National Laboratory fatta dai fisici. Nel nostro caso vi sarà un valore aggiunto: PubMed Central affiancherà PubMed, il database della National Library of Medicine. Questo permetterà di passare direttamente dalla ricerca bibliografica al full-text e viceversa.

Ma quale è la reazione delle maggiori riviste? "Molecular Biology of the Cell" e "Proceedings of the National Library of Medicine" sono state le prime ad aderire al progetto mentre "Lancet" e "British Medical Journal" hanno annunciato a breve l'inserimento della loro rivista nel server. "Jama", la rivista della associazione medica americana, non ha ancora preso posizione, anche se sta chiaramente tastando gli umori dei suoi lettori. È sua l'iniziativa di chiedere la compilazione di un questionario in cui sottopone a critica, anche se questo fine è ben mascherato, alcuni articoli scelti tra quelli che pubblica settimanalmente. Dal giudizio dei lettori infatti si può facilmente capire se le ragioni che hanno indotto a pubblicarli, e che sono l'espressione di una precisa scelta editoriale e di peer-review, abbiano un valido riscontro presso il pubblico a cui sono diretti. "Annals Internal Medicine", che appartiene alla stessa casa editrice e che è molto sensibile al discorso della medicina basata sulle prove di efficacia, sta invece seriamente considerando di partecipare. Una possibilità potrebbe essere quella di mettere sul sito il testo intero dei soli lavori originali, ovviamente nel server con peer reviews. Il "New England Journal of Medicine", il più letta rivista medica, ha invece decretato che non accetterà mai lavori che non siano passati dai revisori. E' vero che qualche anno fa aveva detto che non avrebbe mai creato una versione elettronica della sua rivista, cosa poi puntualmente avvenuta, però al momento pare saldamente ancorato a questa decisione.

È emersa anche un'altra critica, questa volta da parte degli scienziati, e cioè che il National Institute of Health statunitense potrebbe dominare con questo sistema tutta la letteratura medica, a discapito della produzione che proviene dai paesi meno affermati. Chi selezionerà il comitato di redazione e stabilirà i criteri per decidere come scegliere ciò che dovrà essere pubblicato?

La risposta europea non si è fatta attendere: l'European Molecular Biology Organization infatti ha deciso di creare E-Biosci. Inizialmente questo istituto aveva pensato di collaborare con gli americani per PubMed Central, ma sono nati disaccordi proprio sul come trattare il problema del "non peer review". Mentre il gruppo americano decide di avvalersi del parere di un minino di due revisori, E-Biosci dichiara che accetterà qualsiasi lavoro che sottoporrà ad un leggero processo di revisione. Inoltre è emersa l'idea di chiedere a chi pubblica un rimborso economico, garantendo in cambio il libero e gratuito accesso all'informazione inserita nel server.


BioMed Central (<http://www.biomedcentral.com>)

Anche dal mondo commerciale si vedono arrivare le prime iniziative. Current Science Group, un gruppo di società indipendenti che si occupano di pubblicare e sviluppare servizi legati all'informazione e che ha la sua sede principale a Londra, ha creato un sito in cui troveranno posto sia articoli revisionati che non. Quelli sottoposti alla consueta revisione verranno messi in un apposito deposito e messi gratuitamente a disposizione del lettore, mentre nel caso contrario troveranno spazio in un altro server. I soli autori saranno responsabili di ciò che andranno a sottoporre alla pubblica lettura. È di questi giorni l'annuncio che cinque riviste presenti in Biomed Central stanno per entrare in PubMed Central.


British Medical Journal

La British Medical Association ha probabilemente creato, nell'aprile del 1998, il primo sito web legato all'editoria elettronica in medicina mettendo gli articoli a testo intero della sua rivista più importante, il "BMJ". E presto ha deciso che la versione online sarebbe stata disponibile gratuitamente, decisione che mantiene tuttora a due anni di distanza, calcolando che circa 40.000 computer accedono al suo sito ogni settimana, ossia più o meno 56.000 persone. L'idea di offrire articoli non peer-review è nata quasi subito proponendo ai propri lettori di valutare un articolo non revisionato e commentarlo sulla rete. Si è immediatamente acceso un forte dibattito, molto interessante anche se apparentemente privo di ogni prospettiva futura. Invece, e lo stiamo verificando in questi giorni, era solo l'inizio di un'inversione di marcia.

Nel giugno dello scorso anno la casa editrice ha annunciato l'intenzione di creare, insieme alle biblioteche dell'università di Stanford, un "e-print server" per la clinica e la pratica medica. All'inizio di dicembre nasce "NetPrints" (<http://www.clinmed.netprint.org>) [3], un archivio elettronico dove gli autori possono inviare i loro lavori durante o dopo il processo di peer-review, permettendo così la condivisione dei loro risultati con altri ricercatori prima ancora che questi vengano ufficialmente pubblicati. Dopo di ché l'articolo può essere sottoposto ad una delle riviste, a tutt'oggi 25 (tra cui "Lancet" e "Nature"), che hanno accettato di aderire al progetto e sono perciò disposte a pubblicarlo, ovviamente dietro un procedimento di peer-review da parte delle loro redazioni. Se si pensa che, nonostante la sensibilità al problema della tempestività di diffusione che dimostra la rivista, per pubblicare sul "BMJ" "ufficiale" bisogna aspettare anche fino a otto settimane per avere una risposta positiva, questa opportunità potrebbe diventare basilare.

In breve, la possibilità di vedere i risultati di uno studio prima che questi passino al vaglio dei revisori equivarrebbe ad assistere alla presentazione di questi ad un congresso, con la differenza che non tutti si possono permettere di girare il mondo, mentre quasi tutti hanno ormai accesso alla rete. Tutti gli articoli pre-print verranno preceduti sullo schermo da una nota in cui si rende esplicito che l'articolo non ha subito ancora una revisione da parte di esperti. Come tutte le riviste, anche "NetPrints" porta le note per gli autori (Tabella 1).

Ma è proprio di questi giorni l'ultima iniziativa shock della rivista: la decisione di riportare sul sito, dietro consenso degli autori, accanto all'articolo anche tutta la documentazione che ha preceduto la sua accettazione, dal commento dei revisori alla prima versione dell'articolo, e tutte le variazioni che hanno accompagnato il lavoro fino alla sua pubblicazione. Una dimostrazione di trasparenza non indifferente.


Lancet (<www.thelancet.com>)

Anche la più tradizionale rivista britannica, "Lancet", ha scelto la via della non sottomissione o parziale sottomissione a peer-review. Nel luglio 1999 crea ERA (electronic research archive) e subito dopo E-print [4].

ERA riporta articoli che si riferiscono a studi su problemi di salute nei paesi in via di sviluppo. Si tratta di un vero e proprio archivio elettronico, dove ai lavori si affiancheranno tutti i commenti inviati dai lettori. I lavori non trovano posto nella versione cartacea della rivista, ma vengono sottoposti ad un controllo di qualità e serietà da parte del gruppo editoriale.

E-print invece ospita articoli che si riferiscono a tutti gli argomenti trattati dalla rivista cartacea ma che, per espressa volontà degli autori, troveranno posto solo in questo archivio. I lavori passeranno comunque un esame redazionale, ma a questi giudizi potranno essere aggiunti anche quelli dei lettori. Se il lavoro viene rifiutato scompare dall'archivio, mentre se viene richiesta una revisione dei contenuti resta in una specie di limbo. Se invece viene accettato, troverà posto per sempre e gli verrà assegnata una citazione bibliografica ufficiale del tipo: "Lancet E-print", anno, numero del manoscritto. Questo potrebbe permettere in futuro il suo inserimento, come record bibliografico, nelle banche dati. Vi è un'altra possibilità, una volta accettato il lavoro, e cioè quella di trasferirlo nell'area "In Print": in questo caso apparirà con lo stile editoriale proprio della rivista cartacea.

Conclusioni

Dire cosa succederà in futuro non è semplice. Il panorama è ancora un po' confuso e a ben guardare, anche se alcuni hanno già iniziato l'attività, si tratta ancora di progetti. Sconvolgere un sistema che dura da decenni, pur con tutte le contraddizioni che si porta dietro, non sarà facile, e tuttavia l'idea di PubMed Central è nata poco più di un anno fa, di passi ne ha fatti tanti ed in fretta.


Vanna Pistotti, Biblioteca - Istituto di Ricerche Farmacologiche "Mario Negri", Milano
Commissione Università e Ricerca AIB, e-mail: bib@irfmn.mnegri.it


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Tabella 1

NetPrints (<http://www.clinmed.netprint.com>)


Note

[1] Ronald E. La Porte et al., The Death of Biomedical Journals. "British Medical Journal", 310 (1995), p. 1387-90, <http://www.bmj.com/cgi/content/full/310/6991/1387>.

[2] R. Smith, Editorial. Opening up British Medical Journal peer review. "BMJ", 318 (1999), p. 4-5, <http://www.bmj.com/cgi/content/full/318/7175/4>.

[3] T. Delamothe, R. Smith, Editorial. Netprints: the next phase in the evolution of biomedical publishing. "British Medical Journal", 319 (1999), p. 1515-6, <http://www.bmj.com/cgi/content/full/319/7224/1515>.

[4] J. McConnell, The Lancet Electronic Research Archive, <http://www.thelancet.com/newlancet/eprint/index_body.html>.


«Bibliotime», anno III, numero 1 (marzo 2000)


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