«Bibliotime», anno IX, numero 1 (marzo 2006)

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Alberto Salarelli

Quale 'senso' per una biblioteconomia digitale? *



La giornata di oggi rappresenta un'occasione importante per ragionare insieme sul "senso" della digitalizzazione in biblioteca, sul "perché" piuttosto che sul "come": questo, inevitabilmente, ci porta ad una riflessione sul ruolo della biblioteca nella digital age.

I vantaggi della digitalizzazione sono arcinoti; meno si parla dei rischi e quasi mai - per fare riferimento al sottotitolo del nostro incontro odierno - si ragiona sulle "conseguenze culturali della digitalizzazione in biblioteca". Il che, a nostro modo di vedere, porta a dimenticare - o perlomeno a porre in secondo piano - gli effetti che sulle dinamiche culturali apportano le tecniche e le pratiche digitali applicate ai sistemi di conservazione e di mediazione documentaria. Alphonse Dupront, trattando dei fenomeni di acculturazione, scrive che "la manifestazione della presenza del passato nel presente si impone come una delle vie di una storia umana" [1]; non sfugge a questa osservazione anche la storia delle biblioteche che, in particolar modo negli ultimi anni, ha rivolto uno sguardo interessato alla ricerca dell'eredità delle passate generazioni nel patrimonio genetico degli istituti bibliotecari contemporanei [2].

Si impone ora, di converso, anche la necessità di guardare avanti cercando di intravedere verso quale disegno la nostra pratica di organizzatori di materiali informativi è intenta a concentrare i propri sforzi. Ammesso, beninteso, che un piano operativo strategico - non meramente tattico - possa essere identificato. Si tratta infatti di capire se già oggi si possa riuscire a fermarci per riflettere, per tentare di fare un punto della situazione a "soli" dieci anni dalla costituzione della Digital Library Federation. Figuriamoci, poi, pretendere di tracciare dei bilanci… Se è vero, come sostiene Roger Chartier, che "le forme materiali sono produttrici di senso" [3] allora è indubbio che ci troviamo nel mezzo della rivoluzione informativa più importante dai tempi di Gutenberg e che di conseguenza, con buona probabilità, siamo manchevoli di una corretta prospettiva di osservazione sugli eventi dei quali siamo al contempo interpreti e spettatori. Eventi che ci appaiono spesso dominati da un andamento caotico che, come noto, ha un suo ordine: forse difficile da percepire e delineare, ma non per questo meno reale [4].

Gli interventi della mattinata hanno già fornito molti spunti di riflessione alla nostra tavola rotonda; penso ad esempio alle implicazioni squisitamente ontologiche suggerite da una definizione di "documento digitale" come quella propostaci da Luciana Duranti. E dunque vorrei qui soltanto aggiungere, in apertura di dibattito, un paio di spunti per la discussione. Dico spunti, ma siano da intendere come rischi nei quali la biblioteconomia dell'era digitale rischia di trovarsi coinvolta, anzi travolta dalla velocità del progresso tecnico senza poter contrapporre un'identità che sia garanzia di continuità con la sua storia pluricentenaria.

Il primo rischio è la perdita del ruolo sociale della biblioteca. È fuor di dubbio che la biblioteconomia moderna, in particolar modo quella anglosassone del Novecento, si sia particolarmente impegnata a soddisfare le esigenze del singolo lettore come risposta alle istanze di una borghesia di matrice riformata che vedeva nell'individuo e nelle sue specifiche aspirazioni il vero soggetto propulsore della società capitalistica. Si pensi a Ranganathan - "every reader his book" - si pensi a Jesse Shera che scriveva "for the library, "the proper study of mankind is man"" [5]. Questa attenzione precipua verso quello che, in termini kierkegaardiani, potremmo chiamare "il singolo lettore" è però sempre stata controbilanciata dal fatto che la biblioteca pubblica, come istituto sociale - dunque voluto e finanziato dalla collettività - ha inevitabilmente creato una comunità di lettori che si identificavano nelle funzioni che essa perseguiva e nel profilo culturale veicolato dalle modalità di scelta e di messa a disposizione dei documenti. Inoltre, a partire dal XVII secolo, le biblioteche

divennero centri di cultura, luoghi di interazione sociale e scambio di informazioni e idee fra studiosi oltre che di lettura e consultazione. L'imposizione del silenzio nelle biblioteche sarebbe stata una misura impossibile e probabilmente inimmaginabile in questo periodo; come la libreria e il caffè, infatti, la biblioteca incoraggiava l'associazione della comunicazione scritta con quella orale [6].

Oggi, di converso, assistiamo ad un'accelerazione sempre più marcata verso forme di personalizzazione dei servizi che tendono a snaturare questa concezione della biblioteca come luogo di formazione di un'identità sociale oltre che di mera socializzazione. È un segno dei tempi: nell'era neo-tolemaica delle banche "costruite intorno a te" e della telefonia mobile che fa girare l'universo "tutto intorno a te", le biblioteche stanno assumendo sempre più una fisionomia di sistemi organizzati per fornire risposte puntuali a domande puntuali. Se ci si può sentire del tutto disinteressati nel sentirsi parte o meno di una comunità di conto correntisti o di utilizzatori di telefonia cellulare, ci pare che la perdita del senso del vincolo che unisce un gruppo più o meno ampio di lettori/utenti sia un elemento da tenere in considerazione, se si vuol riflettere sulle conseguenze culturali della digitalizzazione in campo biblioteconomico.

Forse, si diceva, non siamo ancora nella condizione di poter fare bilanci o addirittura azzardare previsioni su quello che ci aspetta. Gli artisti però, come noto [7], hanno la prerogativa di essere in anticipo sui tempi, di saper cogliere le tendenze in atto quando sono ancora in nuce. Aldous Huxley, descrivendo nel 1932 la società del futuro, immaginava le biblioteche come luoghi ove si sarebbero conservati e consultati "soltanto libri di referenza" [8]. Ancora più inquietante la prospettiva delineata da Norman Jewison nel film Rollerball [9]: nelle biblioteche del 2018 - anno in cui è ambientata la pellicola - i testi sarebbero disponibili in forma antologizzata ad uso e consumo (controllato) di una popolazione di individui la cui volontà risulterebbe totalmente sottomessa ai voleri delle multinazionali.

Biblioteche di reference? Biblioteche fast-food? Sono queste le biblioteche che meglio riflettono le necessità del mondo postmoderno? Ci pare che le biblioteche - anche quelle più inaspettatamente sgangherate come ci racconta Ermanno Cavazzoni ne Le tentazioni di Girolamo [10] - non debbano abdicare alla loro funzione di luoghi di incontro e di condivisione del sapere, una funzione che i servizi erogati attraverso reti digitali (perlomeno come sono pensati ora, più improntati sugli oggetti che sugli utenti) inibiscono con forza sempre maggiore.

Peraltro, a quindici anni dall'invenzione del web, il problema si sta ponendo negli stessi termini: da un sistema originariamente pensato per favorire la collaborazione a distanza fra i diversi team di scienziati impegnati nella ricerca sulla fisica delle particelle, si è passati a una rete ipertestuale ove è il concetto di informazione a farla da padrone, subordinando ad essa il contatto interpersonale tra coloro che utilizzano la rete. Da questo punto di vista il successo dei blog rappresenta un'inversione di tendenza che recupera le mai disperse potenzialità di Internet come strumento catalizzatore di comunità virtuali: "the emerging web is largely being shaped by dynamic interactions between users in real time" [11].

Il secondo rischio che la biblioteconomia digitale deve affrontare riguarda l'estrema, fondamentale importanza della catalogazione applicata agli oggetti digitali. Vale sempre la pena ricordare che nel mondo della documentazione digitale la serendipità è pressoché nulla rispetto al mondo dei materiali analogici, al punto che Don Swanson ha definito "undiscovered public knowledge" quell'imponente massa di informazioni non coperte da alcun segreto e da alcun vincolo, che però risultano inaccessibili in quanto disperse nel mare magnum di una collezione di documenti in formato elettronico [12]. Già Ugo Betti, magistrato e bibliotecario, in Corruzione al Palazzo di Giustizia ricordava come il posto migliore per nascondere un documento fosse proprio l'archivio, a patto di collocare lo stesso documento in modo adeguato, fuori da ogni logica che ne potesse consentire il recupero [13].

Il valore della catalogazione nel mondo digitale rappresenta l'unica àncora di salvezza nei confronti dello spreco di informazione prodotta, messa a disposizione della collettività e in breve perduta, nel momento in cui viene archiviata con un sistema informatico. Senza una catalogazione di qualità siamo destinati a un consumo forsennato di informazioni che dovranno essere prodotte in molti casi on demand, non potendo far affidamento su una memoria ove poter verificare se già esiste ciò che stiamo cercando. Anche in questo caso ci troviamo di fronte a un segno dei tempi: la memoria breve di una società malata di Alzheimer. La stessa Commissione Europea, nella presentazione al Parlamento delle linee guida i2010 sulle biblioteche digitali, si è soffermata sul problema della catalogazione:

Mettere del materiale in linea non significa che l'utente possa reperirlo facilmente e ancor meno che tale materiale possa essere utilizzato o che sia possibile eseguire ricerche al suo interno. Sono necessari servizi adeguati che consentano all'utente di reperire i contenuti e lavorarci. Ciò presuppone una descrizione strutturata e di qualità dei contenuti, sia delle collezioni che dei singoli elementi, e un supporto per il loro utilizzo [14].

Parole sacrosante che però, a fronte di una dilagante tendenza a sottopagare le registrazioni bibliografiche, risultano quanto mai disattese.

Evidenziare i rischi della grande trasformazione che stiamo vivendo non significa assumere una posizione pessimistica e tantomeno apocalittica. Anzi: la nostra convinzione è che si debba operare con l'entusiasmo di chi ha il privilegio di vivere una rivoluzione in presa diretta. Per questo motivo la giornata odierna è importante: perché il confronto reciproco e la riflessione comune sono occasioni per approfondire i temi del nostro lavoro e per riattizzare la curiosità verso ciò che facciamo ogni giorno.

Alberto Salarelli, Dipartimento dei beni culturali - Università di Parma, e-mail: alberto.salarelli@unipr.it


Note

* Questo articolo riprende il testo della relazione tenuta in occasione del Seminario "Digitali si diventa. Presupposti teorici e conseguenze culturali della digitalizzazione in biblioteca", Modena, 12 dicembre 2005.

[1] Alphonse Dupront, L'acculturazione. Per un nuovo rapporto tra ricerca storica e scienze umane. Torino, Einaudi, 1966, p. 47.

[2] Fondamentali, nel panorama editoriale italiano, i due contributi di Paolo Traniello: La biblioteca pubblica: storia di un istituto nell'Europa contemporanea. Bologna, Il Mulino, 1997 e Storia delle biblioteche in Italia: dall'Unità a oggi. con scritti di Giovanna Granata, Claudio Leombroni, Graziano Ruffini, Bologna, Il Mulino, 2002. Sul tema si veda anche La storia delle biblioteche: temi, esperienze di ricerca, problemi storiografici, atti del convegno nazionale, L'Aquila, 16-17 settembre 2002, a cura di Alberto Petrucciani e Paolo Traniello; premessa di Walter Capezzali. Roma, AIB, 2003.

[3] Roger Chartier, L'ordine dei libri. Milano, Il Saggiatore, 1994, p. 11.

[4] Su questo tema mi permetto di rimandare il lettore al mio saggio Bibliografia e caos, in Alberto Salarelli, Bit-à-brac. Informazione e biblioteche nell'era digitale. Reggio Emilia, Diabasis, 2004, p. 4-18.

[5] Jesse Shera, Philosophy of librarianship, in World encyclopedia of library and information services, Robert Wedgeworth, editor. Chicago, American Library Association, 1993, p. 463.

[6] Peter Burke, Storia sociale della conoscenza. Da Gutenberg a Diderot. Bologna, Il Mulino, 2002, p. 78.

[7] "Gli artisti sono sempre i primi a scoprire il modo con il quale un medium può usare o sprigionare il potere di un altro", Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare. Milano, Il Saggiatore, 1997 [ed. or. 1964], p. 64.

[8] Aldous Huxley, Il mondo nuovo. Milano, Mondadori, 1991, p. 145.

[9] Rollerball, regia di Norman Jewison. Cast: James Caan, John Houseman, Maud Adams, John Beck. Produzione: USA, 1975.

[10] Ermanno Cavazzoni, Le tentazioni di Girolamo. Torino, Bollati Boringhieri, 1991.

[11] Declan Butler, Joint efforts. "Nature", 438 (1 December 2005), p. 548-549. Sulle comunità virtuali cfr. Howard Rheingold, Comunita virtuali: parlare, incontrarsi, vivere nel ciberspazio, Milano. Sperling & Kupfer, 1994.

[12] Don Swanson, Undiscovered public knowledge. "The Library Quarterly", 56 (1986) 2, p. 103-118.

[13] "ERZI: Dove sono quelle carte? CUST: Là dentro, a idea mia. Però nascoste in mezzo, in fondo, a montagne e montagne di altri fascicoli e carte", Ugo Betti, Corruzione al Palazzo di Giustizia. Roma, Newton Compton, 1993, atto II, p. 72-73.

[14] Commissione delle Comunità Europee, i2010: le biblioteche digitali:comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni, Bruxelles, 30.9.2005, p. 7, <http://europa.eu.int/eur-lex/lex/LexUriServ/site/it/com/2005/com2005_0465it01.pdf>.




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