«Bibliotime», anno V, numero 3 (novembre 2002)


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Biblioteche e vecchi cammelli



Si narra che Abdul Kassem Ismael, Gran Visir di Persia vissuto nel decimo secolo, possedesse una biblioteca di oltre 117.000 libri. Poiché non sopportava l'idea di doversi separare dai suoi adorati volumi, ogni volta che si metteva in viaggio li conduceva con sé, facendoli trasportare da 400 cammelli allineati secondo l'ordine alfabetico dei libri, mentre i cammellieri, elevati al rango di bibliotecari, potevano reperire istantaneamente qualsiasi testo che il loro signore richiedeva [1].

Non v'è dubbio che quello di Abdul Kassem Ismael sia un modello davvero mirabile di organizzazione di una biblioteca e del suo personale, dal momento che riesce a garantire non solo la mobilità e la trasportabilità della raccolta, ma l'immediato ed efficace recupero dei documenti. E tuttavia è altrettanto evidente che tale sistema può funzionare da un lato perché è al servizio di un solo utente, dall'altro perché impiega risorse tecniche e umane particolarmente consistenti, tanto da renderla praticamente unica nella lunga storia delle biblioteche, senza possibilità di confronto con tutte quelle strutture che, per quanto assai ricche sotto il profilo delle raccolte, raramente sono riuscite a dispiegare mezzi così imponenti come quelli messi in campo dal Gran Visir.

Ma al giorno d'oggi si può dire che le capacità delle nuove tecnologie siano in grado di trasformare gli utenti delle biblioteche in emuli ideali di Abdul Kassem Ismael: e ciò non certo attraverso il possesso fisico dei documenti - un'idea che nel sapiente orientale raggiunge dimensioni paradossali - ma sfruttando le possibilità dell'accesso, vale a dire l'individuazione remota, l'immediato recupero e l'agevole utilizzo di qualsiasi informazione disponibile sulla rete.

Si tratta di un paradigma che è stato declinato nelle maniere più diverse a partire almeno dagli anni Sessanta, prima con l'avvento delle banche dati online, poi con la nascita delle reti di cooperazione bibliotecaria e la presenza vincente degli Opac, infine con il manifestarsi delle molteplici potenzialità di Internet. Oggi tuttavia, malgrado l'inarrestabile sviluppo delle tecnologie, questo paradigma sembra andare incontro a numerose difficoltà, paragonabili forse alla complessa gestione di una carovana di 400 cammelli e 117.000 volumi. Il problema principale, con ogni evidenza, è quello dell'enorme quantità d'informazione attualmente disponibile, e dunque della incapacità a recuperarla nella maniera più efficace: si pensi, per citare un solo caso, a tutto ciò che risiede nell'"Internet profondo", ossia in quello strato della rete che risulta impermeabile ai tradizionali motori di ricerca (anche ai più sofisticati quali Google) e che, per colmo di sfortuna, contiene proprio l'informazione bibliograficamente più rilevante, ad esempio quella presente negli Opac e nelle altre banche dati. Quali sono dunque i criteri per individuare e far emergere nella maniera più idonea l'informazione in formato digitale? quali i modi per una sua adeguata organizzazione?

Ma sussiste un problema, per dir così, uguale e contrario al precedente, che consiste nella difficoltà di far circolare in modo adeguato l'informazione scientifica, che per secoli è stata veicolata dagli strumenti cartacei ed in particolare dalle riviste. Siamo di fronte ad un sistema - quello della convenzionale editoria periodica - che appare gravato da tre ostacoli principali: i tempi lunghi delle riviste cartacee, che rischiano di rendere obsoleti i risultati delle ricerche; l'alto costo degli abbonamenti, che depaupera i budget delle biblioteche; e il trasferimento forzoso e il più delle volte gratuito del copyright dagli autori agli editori, condicio sine qua non per la pubblicazione su testate di prestigio. A questi condizionamenti la comunità internazionale ha reagito con una quantità di iniziative volte a rendere sempre più libero l'accesso ai prodotti della ricerca scientifica, e che di recente sono sfociate in un vero e proprio "movimento per gli open archives"; ma questi inediti strumenti di diffusione delle conoscenze devono tuttora fare i conti con il tradizionale meccanismo dell'editoria periodica, saldamente in mano agli editori commerciali i quali, grazie alla loro posizione dominante, possono determinare i costi in maniera del tutto avulsa dalle leggi del mercato. La comunità scientifica e quella bibliotecaria saranno dunque capaci di governare una realtà così complessa, bilicata com'è sul duplice asse dell'editoria tradizionale e dei nuovi sistemi di diffusione dell'informazione, allo scopo di amministrare in modo efficace tanto gli aspetti conoscitivi e scientifici quanto quelli economici e gestionali?

D'altra parte la convivenza di cartaceo e digitale costituisce un tema di particolare rilievo nel dibattito odierno, specie se si considera la mole di questioni sollevate da ciò che viene chiamato "l'approccio ibrido" alla biblioteca, all'informazione, alla conoscenza: un tema che può assumere le più diverse connotazioni - tecniche, organizzative, disciplinari - ma che in sostanza si esplicita nell'irrisolta alternativa fra il vecchio, elegante e indimenticato oggetto libro e le mille forme in cui si condensa l'informazione elettronica. Fiumi di inchiostro sono stati versati su questo argomento, senza che si sia giunti non già ad una sintesi, ma perlomeno ad una epoché, ad una sospensione del giudizio, capace di sollevare la discussione dalle contrapposte posizioni degli apocalittici, di quanti cioè ritengono che la scomparsa della carta segnerà un indebolimento, se non una sconfitta, dell'intelligenza e del sapere umano, e degli integrati, che invece esaltano la prospettiva elettronica come foriera di una rinnovata democrazia culturale. Sarà in grado la comunità professionale di cogliere le profonde complessità coinvolte in questo discorso, e fornire le risposte più idonee ad un problema che appare di dimensioni davvero epocali?

Siamo di fronte, come si vede, a interrogativi di grande importanza per la nostra professione; ad essi "Bibliotime" ha sempre riservato una speciale attenzione, ed anche il presente numero s'incentra su questi temi: difatti, grazie all'articolo di Rossana Morriello, entriamo nel campo della gestione delle raccolte, non costituite più o soltanto da materiali cartacei ma da una pluralità di risorse multimediali, elettroniche, digitali, costrette a convivere - non sempre pacificamente - con il classico patrimonio documentario delle biblioteche. E se il discorso della sopravvivenza dei formati tradizionali - e del libro in particolare - viene esplorato da Mario Gurioli negli aspetti più fisici, sensitivi, oggettuali, vediamo che da banda opposta Maurizio Zani mette in luce le potenzialità di uno strumento, qual è l'e-book, che sembra trovare una valida applicazione a scopi manualistici e didattici. Last but not least, il mondo dell'editoria, che Maria Gioia Tavoni esamina nei suoi rapporti con l'ambito professionale italiano, mentre Antonella De Robbio analizza nelle sue versioni più moderne e radicali, discutendo delle nuove forme di pubblicazione rappresentate dagli open archives e dagli altri depositi di e-prints.

In una fase - epistemologica, culturale e sociale - in cui i dubbi prevalgono sulle certezze, è forse proprio questa vivacità d'iniziative, questo turbinio di proposte, a permettere al mondo delle biblioteche di riconoscere una propria identità, per quanto complessa e frammentata possa apparire; e ancora una volta saremmo lieti se "Bibliotime" potesse contribuire a determinare questo processo.


Michele Santoro


Note

[1] La vicenda è raccontata in Douglas Greenberg, Camel drivers & gatecrashers. "Educause Review", May/June 2000, p. 50-56.



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