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"17. Seminario Angela Vinay"
bibliotECONOMIA
conservare il futuro

Lavorare oggi per conservare il futuro: scenari, strumenti, risorse, problemi

Luca Baldin, Segretario Nazionale di ICOM Italia


Il dialogo apertosi recentemente tra bibliotecari, archivisti e museali - che ha già prodotto alcuni momenti di confronto di estrema utilità, sia a livello nazionale che regionale - trova attualmente uno dei suoi principali propulsori - mi sia concesso in questa sede, senza nulla togliere agli amici bibliotecari e archivisti - nell'entusiasmo dei professionisti museali, che hanno beneficiato, ben più dei colleghi, del varo del nuovo Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio [1], non per fortune particolari, ma molto più semplicemente in virtù del fatto che partivano da una situazione di svantaggio.
I musei, infatti, nella legislazione italiana, non godevano più dello status di "Istituti culturali" da lunghissimo tempo [2]. A differenza di biblioteche e archivi vivevano in una indeterminatezza che li voleva "luoghi" in cui conservare "reperti" e che aveva prodotto una sostanziale evanescenza anche nella consapevolezza di una categoria professionale, tale da non distinguerne più nemmeno il nome: "museologi", "museali", "operatori dei musei" .... (?). Ne conseguiva un evidente disagio nei confronti della monolitica categoria dei bibliotecari e degli archivisti, solo in parte mitigato dalla consapevolezza dei singoli del fare e del saper fare, che si traduceva tuttavia, e non di rado, in un marcato individualismo e in un isolamento penalizzante per la crescita professionale, sia in termini di relazioni che di cultura, in quest'ultimo caso quasi sempre debitrice dei progressi fatti in area transalpina e anglosassone [3].

Nel corso dell'ultimo decennio una fitta produzione normativa e sub normativa, che vede il suo apice nel varo del cosiddetto documento sugli standard museali italiano [4], ha progressivamente affermato l'esigenza di superare questa storica situazione di stallo, trovando finalmente concretizzazione nell'art. 101 del Codice, nel quale al museo viene restituita la dignità di "Istituto della cultura" al pari di biblioteche e archivi.
Un riconoscimento storico, che ha dato nuovo impulso ad un dibattito già vivace e una inedita (e speriamo duratura) fiducia ai professionisti dei musei italiani che, da un canto avviavano un serrato dibattito interno per la definizione delle professioni dei musei, e dall'altro hanno valutato perseguibile fin da subito il progetto di una progressiva convergenza con bibliotecari e archivisti tesa al riconoscimento complessivo delle professioni del patrimonio culturale italiano.

La ragione per cui mi trovo ad intervenire all'interno di un a seminario di biblioteconomia come il "Vinay" è così spiegato e ringrazio pubblicamente Chiara Rabitti per avermi voluto in questa sede prestigiosa dandomi modo di rilanciare in modo chiaro e forte quanto elaborato dalla Conferenza permanente delle associazioni museali italiane in questi ultimi mesi di lavoro.
Cercherò ora di entrare più nel dettaglio di che cosa significhi "lavorare" in o per un museo alla luce di quanto appena accennato e di ciò che a tale riguardo sta maturando in seno alle associazioni professionali italiane.

Partiamo quindi dalla più recente delle conquiste: il museo è un istituto della cultura.
Apparentemente lapalissiana, l'affermazione ha viceversa implicazioni decisive in ordine alla nostra professione, che necessitano anzitutto di essere definite e poi di essere riconosciute e condivise.
Se il museo è un istituto, va da sé che esso più che un "luogo" da proteggere con relativi custodi è una realtà che svolge funzioni complesse di mediazione culturale che esige quindi personale altamente qualificato per poter operare.
Quali siano queste funzioni è detto con chiarezza nella definizione internazionalmente riconosciuta di museo, ovvero quella data dallo statuto dell'International Council of Museums (ICOM) [5], che precisa che esso fa ricerca, colleziona, conserva, comunica, espone per fini di studio, di educazione e di diletto.
A tali funzioni corrispondono specifiche professionalità che tra il 2006 e il 2007 le associazioni professionali, riunitesi in Conferenza Permanente, hanno provveduto a definire e riunire nella Carta Nazionale delle Professioni Museali [6]; un documento di indirizzo che definisce, oltre a quello del direttore, vero responsabile dell'identità di un museo, 20 profili riferiti a 4 grandi ambiti operativi, ovvero: la ricerca, cura e gestione delle collezioni; i servizi e rapporti con il pubblico; l'ambito amministrativo, finanziario, gestionale e delle relazioni pubbliche; ed infine l'ambito strutture e sicurezza.
Posto che nessuno nemmeno immagina che questa definizione di ruoli possa trasformarsi pedissequamente in una pianta organica ideale, rimane il fatto che essa rende sicuramente chiaro ai diversi gradi di responsabilità presenti in un museo, quali siano le competenze che la propria pianta organica deve esprimere per offrire risposte adeguate alle diverse utenze delle collezioni, sulla scorta di criteri operativi che si fondano proprio su quel documento nazionale sugli standard già ricordato.
Criteri che, presumibilmente, troveranno applicazione nel nuovo Codice, non appena la Commissione preposta definirà quei livelli minimi uniformi di qualità delle attività di valorizzazione dei beni culturali pubblici, previsti dall'art. 114 del Codice stesso; ma che sono presenti da tempo anche in un documento di autoregolamentazione come il Codice Deontologico di ICOM, che offre il più completo sfondo etico a chi opera in questo campo.

Definito cos'è un museo, quali siano le funzioni che esso svolge, quali le professionalità che deve esprimere ed infine i criteri operativi a cui ispirarsi, il quadro risulta finalmente completo, almeno in teoria. Nella prassi le cose vanno in modo decisamente diverso, al punto che, forti di queste novità, i professionisti museali hanno avvertito l'esigenza di far sentire la propria voce in modo unitario.
Per questa ragione nel 2004 nasceva la Conferenza Permanente delle Associazioni Museali Italiane [7], con l'obiettivo di iniziare un percorso comune teso a porre rimedio ad una frammentazione e ad un particolarismo troppo marcati che, da possibile risorsa, si manifestava sempre più come fattore di debolezza.
Tre le linee guida qualificanti dell'azione della "Conferenza" in questi primi anni: l'organizzazione territoriale su base regionale, nella consapevolezza che tale livello, a seguito del riassetto delle competenze tra Stato e Regioni, fosse imprescindibile; l'organizzazione di un momento a cadenza annuale di coesione nazionale con la riproposizione delle Conferenze Nazionali dei Musei d'Italia [8]; la convergenza con bibliotecari e archivisti nell'ottica di affermare nel medio-lungo periodo le istanze dei professionisti del patrimonio.
Un work in progress, quindi, positivo, ma che non può prescindere né vuole eludere il dato di partenza, decisamente critico, che parla di dotazioni organiche frequentemente carenti e non di rado scarsamente qualificate e di un sistema che conterebbe (e il condizionale è d'obbligo fintanto che non ci si intenda su cos'è un museo) più o meno 4000 musei, caratterizzato da pochi "campioni", spesso strangolati dal turismo di massa, e di moltissimi piccoli e medi istituti che viceversa faticosamente sopravvivono tra l'indifferenza generale.

Tra le contraddizioni di questo sistema la più evidente è che se da un canto i musei italiani conservano un invidiabile rapporto con il territorio di riferimento, ciò sovente si traduce in un inutile e dannoso particolarismo che genera frammentazione, più che coesione, avendo come corollario dotazioni finanziarie insufficienti che si traducono in una sostanziale incapacità di adottare standard di servizio adeguati.
Per molto tempo, anche chi di musei si è attivamente interessato con indubbia intelligenza, ha disegnato tale sistema come "originale" e per certi versi persino "virtuoso". Molti di noi hanno condiviso l'idea non peregrina che il museo italiano sia soltanto un frammento di una realtà più ampia, che sta fuori dalle mura degli istituti di conservazione e che comunque non da meno è "museo"... E l'VIII ambito degli standard italiani, col suo diretto riferimento ai rapporti tra museo e territorio, è lì a ricordarci ogni giorno questa peculiarità italiana, che generalmente passa sotto il nome di "museo diffuso".
Ciò nonostante, senza voler negare ciò che di buono c'è, indubbiamente, in questa oramai "classica" impostazione del problema museologico in Italia, vale la pena di interrogarsi con severità, se necessario, se tale modello sia ancora sostenibile.
E la risposta a mio parere è che non lo sia più; nato dalla necessità di far convergere le esigenze di uno stato centrale e quelle di storiche autonomie locali da rispettare, oggi il sistema italiano appare alle corde; è alle corde il meccanismo di tutela, con la profonda crisi delle Soprintendenze e la loro oramai cronica impossibilità a svolgere adeguatamente quelle funzioni per cui sono nate; non da meno è in crisi la fittissima rete dei musei locali, in crisi di identità, prima ancora che di funzionamento.
Transitato attraverso i marosi dell'economia dell'arte, travolto dalla pressante richiesta di essere "risorsa" per il Paese, il sistema museale italiano, rappresentato dai pochi professionisti che se ne continuano ad occupare (e tuttavia privi di riconoscimento della loro professionalità), si interroga su come si possa essere una risorsa, e per chi, senza dotazioni non si dice adeguate, ma appena sufficienti in tema di personale qualificato e di risorse finanziarie; senza una politica di sistema che permetta di uscire dal vuoto campanilismo per sviluppare politiche sinergiche e di rete imprescindibili; senza una politica del volontariato in grado di coinvolgere i cittadini nella gestione del bene comune.

La situazione nei musei di coloro che, stando al titolo della giornata, dovrebbe "lavorare oggi per conservare il futuro" ha raggiunto soglie di criticità preoccupanti, che si esprime anzitutto nell'affermarsi oramai travolgente della precarizzazione, che oltre a costituire un problema generazionale ed etico inedito, di cui si stenta a cogliere la gravità, sta mettendo in crisi la continuità del sapere che è alla radice stessa dell'istituzione museale.
Con queste armi spuntate ci troviamo a combattere una lotta impari per sostenere le ragioni dell'istituto museale modernamente inteso, a fronte di una percezione ancora diffusa, che trova fondamento in un ritardo disciplinare, che continua ad affermarne un'idea sclerotizzata e un po' estetizzate, sempre più distante dalle esigenze della gente e non aggiornata sul dibattito internazionale.
O ancora a stemperare le ragioni di una liaison tra museo e economia turistica, pur in qualche misura necessaria, ma che se estremizzata uccide sia i grandi che i piccoli musei, i primi per eccesso di visibilità, i secondi per mancanza; ponendoli nella scomoda posizione di entrare in competizione "impropria" con altri attrattori, come i parchi a tema, i parchi dei divertimenti, i monumenti, che se correttamente sfidano i musei sul fronte del diletto, nulla hanno spesso da dire in tema di studio e educazione.

Se, com'è intuibile, non ci sono rimedi facili ad una situazione maturata in un arco di tempo lungo, è tuttavia possibile indicare alcune linee guida utili ad indirizzare i problemi verso una possibile soluzione.
In estrema sintesi, e per concludere, elenco perciò cinque questioni che, a giudizio di chi scrive, dovrebbero essere poste al centro della discussione da chiunque si occupi di musei con compiti di indirizzo negli anni a venire.
La prima, sicuramente centrale, mi sembra la necessità di sviluppare modelli di gestione associata, ovvero reti e sistemi, che per altri servizi pubblici hanno già fornito buoni risultati, ottimizzando investimenti, razionalizzando la spesa, condividendo professionalità e know how.
La seconda, non meno rilevante - e se ne è già fatto cenno -, è l'esigenza di stimolare la crescita della funzione del volontariato culturale, la cui incidenza nella gestione dei musei in Italia è poco nota e probabilmente già oggi assai più significativa di quanto si possa immaginare, e ciò nonostante non vive giorni radiosi. Deve essere maggiore la consapevolezza, anche tra i professionisti, che si tratta di una risorsa primaria che va incoraggiata e incentivata. Per far ciò è indispensabile aprire una nuova stagione di cooperazione, oserei dire di riappropriazione del patrimonio come bene comune in funzione di una gestione partecipata, in grado di superare il principio della pura delega ad una burocrazia tecnocratica, per avvicinarsi a modi più usuali nella tradizione anglosassone. È, infatti, impensabile credere di poter dotare di tutte le professionalità necessarie la rete museale italiana, contando sui soli professionalizzati; il cui ruolo, non vorremmo essere fraintesi, è e rimane fondamentale, anche per valorizzare l'opera dei volontari stessi [9].
La terza riguarda un problema più generale, di tipo culturale, ovvero un difetto di comunicazione dei nostri istituti, troppo spesso abbagliati dalla sirena della scientificità che si traduce non di rado in vuoto accademismo. Se vi è qualche cosa di potenzialmente utile ai nostri musei è la capacità di sviluppare tecniche di divulgazione culturale e scientifica adeguate, in grado di far avvicinare pubblici diversi e di ricollocare il museo tra i potenziali ed effettivi media in una società di massa.
La quarta riguarda il ruolo del museo sul territorio, un ruolo storico da riconquistare, anche a condizione di ri-contrattare l'artificiosa divisione tra tutela e valorizzazione confermata dal nuovo Codice. Il nuovo museo, infatti, dovrà sicuramente essere sempre più centro d'interpretazione e strumento di tutela attiva per svolgere una funzione sociale realmente utile, stimolando quella partecipazione dei cittadini, come recita il Codice "in forma singola o associata", alla salvaguardia del proprio patrimonio.
La quinta, ed ultima - e sarebbe un passaggio davvero cruciale - è l'auspicio che le amministrazioni responsabili e gli enti intermedi con funzioni d'indirizzo e coordinamento, s'impegnino a fondo nel sostenere con convinzione la gestione virtuosa ordinaria degli istituti museali, basata sul rispetto di standard qualitativi di dotazione e funzionamento, riconosciuti e condivisi, che trovino suggello in processi di accreditamento conseguenti; abbandonando il velleitarismo dei finanziamenti a progetto, frutto di un malinteso managerialismo all'italiana che, non di rado, in totale tacito accordo tra le parti, porta a celare l'esigenza di finanziare la gestione ordinaria sotto improbabili obiettivi progettuali di breve e medio termine, costruiti più con un occhio di riguardo alla tempistica della politica che a quella di un istituto museale.

[1] Dlgs. n. 42 del 22 gennaio 2004
[2] Nella legislazione nazionale il concetto di museo come istituto culturale scompare nel 1904 con l'approvazione del regolamento riferito alla legge di tutela n.185 del 1902, in cui il concetto di istituto museale viene sostituito da quello delle "Raccolte governative"
[3] Per quanto, recentemente, nell'introduzione al volume Il nuovo museo (Il Saggiatore 2005) Daniele Jalla abbia adombrato la possibilità di identificare, tra le righe dell'operatività spicciola, una qualche logica che potrebbe prefigurare una "via italiana alla museologia"
[4] D.M. 10 maggio 2001 - atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e di sviluppo dei musei
[5] La definizione è stata aggiornata l'ultima volta in occasione dell'Assemblea Generale tenutasi a Seoul nel 2004
[6] La Carta nazionale delle professioni museali è scaricabile nella sua ultima versione dal sito web www.icom-italia.org
[7] La Conferenza permanente delle associazioni museali italiane nasce in forma di coordinamento degli organi dirigenti con la sottoscrizione da parte dei rispettivi presidenti di un documento condiviso avvenuta a Torino l'11 novembre 2004 e vi aderiscono ICOM Italia, ANMS, AMACI, SIMBDEA, ANMLI e AMEI, con la partecipazione della Commissione Musei della CRUI.
[8] La cui prima ed unica edizione risaliva al 1990
[9] Al riguardo mi sembra perfettamente condivisibile l'impostazione della Carta Nazionale delle professioni museali, che in introduzione delinea correttamente il rapporto tra volontari e professionalizzati nei musei


Copyright AIB 2007-08, ultimo aggiornamento 2007-09-16 a cura di Marcello Busato e Giovanna Frigimelica
URL: https://www.aib.it/aib/sezioni/veneto/vinay17/baldin06.htm


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