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"17. Seminario Angela Vinay"
bibliotECONOMIA
conservare il futuro

Interventi di apertura

Pasquale Bruno Malara, Direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici del Veneto MiBAC


Visto che parlo prima della collega Antonia Recchia tocca a me intanto esprimervi il compiacimento dell'Amministrazione per i beni e le attività culturali sia sul seminario di oggi, sull'organizzazione di questo diciassettesimo, sia sull'opera meritoria, su questa presenza estremamente qualificata e pregna di futuro, di occasioni per il futuro, costituita dalla Fondazione Querini e che ci è stata riconfermata dalle parole della Direttrice e del Presidente a cui io mi voglio riferire rimanendo su questi argomenti di presentazione. Soprattutto perché noi sappiamo che il futuro è figlio del passato ed è figlio del presente, è difficile riconsiderare il passato scindendolo da quello che è successo nel frattempo ed è necessario considerare la situazione del nostro Paese, dello stato della cultura in generale, della formazione culturale, dell'istruzione, dei beni e delle attività culturali, anche in un quadro più allargato, quanto meno europeo.
Mi sembra che la questione si possa incentrare intanto su alcune cose che sono state dette dalla Direttrice Rabitti e dal Presidente Cortese e che sono in qualche modo aspetti confrontabili: Italia povera e opulenta, ricchi e stupidi, asini e dottori.

In effetti il nostro Paese dal punto di vista dell'approfondimento culturale e della produzione di beni culturali, nel passato si producevano beni "moderni": quadri, opere d'arte, chiese, collezioni, fondi librari, grandi archivi ha sempre sofferto di una separazione estremamente forte che era giustificabile nel passato; ma in confronto con le società più organizzate, più moderne, industriali e democratiche, e anche con reddito diffuso più favorevole, questo Paese ha saputo fare meno degli altri, nel senso che l'utenza generale, quello che è il chiunque, non ha ricevuto le stesse possibilità in termini di organizzazione. L'Italia povera era quella che faceva funzionare i treni, per così dire, supponendo che fosse vera questa affermazione, ma erano i treni degli emigranti e i treni della borghesia; non c'erano treni sufficienti per un'Italia come quella di oggi; quindi l'Italia povera riusciva a mettere in atto poche strutture e poche organizzazioni, perché era quella la necessità adeguata a quella che era la condizione generale, con la popolazione contadina che superavano il 50% della popolazione attiva.
L'Italia di oggi non è in grado di offrire gli stessi servizi salvo ovviamente, delle cospicue eccezioni, e questa ne è una prova: le situazioni effimere vengono privilegiate, perché sono le più facili, sono quelle che vengono sentite immediatamente, che attraggono più persone, che non devono essere mantenute nel tempo, e quindi tutto ciò che vuol dire custodia, manutenzione e ripetizione di atti; l'effimero invece nel giro di due mesi viene sbaraccato e si pensa ad altro. Ben diverso è il lavoro del ricercatore, il lavoro del bibliotecario, il lavoro dell'archivista, si tratta di un lavoro silenzioso e questo è difficile comunicarlo.

Anche l'università italiana non si è strutturata per diventare università di grandi numeri, non amo la parola cultura di massa, università di massa, turismo di massa perché fa pensare che la massa sia di per se stessa dozzinale non è vero, insomma ci sono i grandi numeri e ci sono i piccoli numeri, noi non siamo in grado di offrire come sistema Paese dei servizi a grandi numeri, perché i grandi numeri sono per loro natura molto differenziati: uno stesso concetto, uno stesso insegnamento non può essere impartito indifferentemente a persone di diversa età, a persone che hanno diverse esperienze e anche diversa condizione di studio e diversa condizione di competenza.
Per altro anche noi siamo legati ad un modo di esprimerci estremamente tecnico, estremamente riservato agli addetti ai lavori e quindi spesso autoreferenziale, e questa mi sembra una critica che sia volata nei discorsi precedenti. Quindi essere chiari e veritieri non è facile, e soprattutto poter essere chiari e veritieri anche in una lingua straniera, anche nell'esperanto di oggi che è l'inglese. Provate a tradurre in inglese, per chi lo conosce sufficientemente per fare una traduzione, una relazione dei nostri esperti tenuta nei seminari o nei convegni, con gli incisi, le citazioni, senza punteggiatura oppure con poche virgole, se provate non ci riuscite. perché queste sono lingue, l'inglese o anche altre lingue anglosassoni, di una società che volge alla chiarezza.
Le Amministrazioni, le Istituzioni e tutto il mondo che si occupa e che svolge il proprio lavoro nel campo dei beni culturali, dei patrimoni culturali, dei fondi culturali, delle attività culturali deve trovare nel campo di quelle che ormai vengono chiamate da una decina di anni nuove tecnologie, attuali tecnologie di comunicazione e d'informazione, la capacità di poter coniugare rigore, qualità, ma anche chiarezza. E io mi auguro, e ne parlerà la mia collega Recchia, immagino, dopo di me, che questa iniziativa del Portale della Cultura Italiana possa avere queste doti, intanto di completezza, ma anche di agile accesso alle informazioni e alle notizie, in modo da coniugare cultura per tutti senza cadere, come dire, in un uniformativismo, in un comunicazionismo di bassa qualità e di incompleta natura.
Grazie.


Copyright AIB 2007-08, ultimo aggiornamento 2007-09-22 a cura di Marcello Busato e Giovanna Frigimelica
URL: https://www.aib.it/aib/sezioni/veneto/vinay17/malara06.htm


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