«Bibliotime», anno V, numero 1 (marzo 2002)


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Librarian power



E' ormai un'idea consolidata quella secondo cui il mutamento dei paradigmi che per secoli hanno retto l'attività bibliotecaria stia producendo rilevanti trasformazioni non solo nelle procedure di organizzazione e di trattamento dei documenti, ma nel ruolo stesso che le biblioteche sono in grado di assolvere nell'attuale contesto informativo.

Ancora una volta, al centro di tale cambiamento vi è il bibliotecario, il cui profilo appare tutt'altro che sbiadito nell'agone ipertecnologico odierno, se è vero che sempre più egli s'impone come uno specialista delle nuove forme documentarie - locali e remote - con cui gli utenti hanno la necessità di entrare in contatto.

In tale quadro, viene allora da chiedersi se il ruolo che il bibliotecario è chiamato a svolgere sarà di tipo eminentemente tecnico, fondato sulla conoscenza delle nuove tecnologie e sulla loro capacità di essere ricondotte ad una rappresentazione biblioteconomica più o meno prossima a quella che per secoli ne ha determinato l'immagine, oppure se sarà caratterizzato da altre espressioni, che lo condurranno a vestire i panni di un vero e proprio manager della conoscenza, in grado di contribuire non solo all'individuazione e all'organizzazione del sapere, ma a una sua effettiva creazione e gestione.

In attesa di verificare quali saranno le direzioni verso cui si orienterà tale ruolo, è in ogni caso evidente come al giorno d'oggi il bibliotecario abbia ben salde nelle proprie mani le funzioni relative all'identificazione, alla selezione ed alla validazione delle risorse ai fini di un adeguato recupero; si tratta, a ben vedere, di una diversa maniera d'intendere il ruolo "principe" della catalogazione, che da sempre è stato uno dei fondamenti dell'attività dei bibliotecari e che oggi, sia pur sulla base delle nuove prospettive tecniche, metodologiche e disciplinari, mantiene una rilevanza della quale è difficile dubitare.

Una prima riflessione su queste tematiche ci viene da alcuni contributi del presente numero di "Bibliotime", in particolare da quelli di Mauro Guerrini e di Pino Buizza relativi ai Functional Requirements for Bibliographic Records, e di Maurizio Messina sul tema dei rapporti fra catalogazione e digitalizzazione.

Ma un secondo interrogativo s'impone con forza, e riguarda da vicino la figura del bibliotecario nel contesto professionale proprio del nostro paese: difatti, se è vero che anche nelle nostre biblioteche si sono verificate importanti trasformazioni, viene allora da chiedersi in che termini le diverse competenze che le nuove tecnologie mettono in campo siano in grado di ridisegnare il volto dei bibliotecari italiani, e se tali competenze possano far sì che i bibliotecari si riconoscano in uno specifico gruppo professionale, in una vera e propria "famiglia", come amano dire i sociologi, caratterizzata da connotati precisi e da una riconosciuta maturità professionale e scientifica.

Una risposta a questo interrogativo ci viene da Michele Menna, che riferisce dell'indagine da lui stesso condotta su una comunità professionale piuttosto omogenea qual è quella dei bibliotecari dell'università di Bologna. L'immagine che scaturisce è senz'altro confortante, dal momento che, a parere dell'autore, il livello di maturità raggiunto da questo gruppo risulta senz'altro elevato: ma infine, si tratta di una punta privilegiata, di un livello di eccellenza che non trova l'equivalente in altre realtà, oppure può essere rappresentativa di un trend più vasto, che si estende su scala nazionale?

In attesa di una ulteriore inchiesta in grado di sciogliere questi dubbi, una prima verifica di alcune esigenze dei bibliotecari italiani ci viene dallo studio di Raffaella Ingrosso, che getta luce su una delle carenze che la nostra comunità sembra avvertire in modo particolarmente acuto, vale a dire quella relativa alla formazione e all'aggiornamento professionale, venendo analizzate con precisione tanto l'abbondanza della domanda quanto la crisi dell'offerta formativa che caratterizzano la realtà bibliotecaria italiana.

Ciò che ne emerge è una interessante (ma anche un po' preoccupante) dicotomia fra una situazione - quella bolognese - che ha raggiunto una sua maturità anche grazie a un'idonea dimensione formativa, e una prospettiva nazionale che si mostra largamente deficitaria: un dato di estremo interesse, sul quale crediamo che la riflessione dovrà essere più che mai accurata.


Michele Santoro



«Bibliotime», anno V, numero 1 (marzo 2002)


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