Ognuno faccia la sua parte. Ragionando di “biblioteche in coma” e dei principi di autonomia e responsabilità nelle università statali

Scrive il prof. Alessandro Barbero su La stampa del 18 gennaio scorso (pagina 22): «La situazione delle biblioteche italiane è comatosa; e l’impressione di tutti coloro che ne avrebbero bisogno per poter fare il loro lavoro è che i ministri dei Beni culturali e dell’Università non se ne preoccupino affatto».
Egli denuncia le restrizioni all’accesso alle sedi e ai servizi delle biblioteche durante la pandemia che limitano docenti e studenti universitari nel loro lavoro di preparazione dei loro esami, lezioni, saggi, tesi.  Denuncia inoltre le restrizioni all’accesso da remoto a materiale digitale o digitalizzato dovute al sistema del diritto d’autore. Cita poi alcuni aneddoti riferitigli da altri a sostegno delle sue osservazioni e conclude chiedendo ai Ministri della Cultura e dell’Università d’intervenire.

Evviva!!

Sorvolando sull’aneddotica relativa al rapporto tra due utenti e il personale di una biblioteca (riferire di un caso isolato di eccessiva rigidità nella gestione degli accessi su appuntamento non prova nulla, ammesso che abbia fondamento giornalistico una testimonianza riferita per sentito dire), la denuncia di un illustre accademico consente di sollevare finalmente l’attenzione pubblica sul problema dell’accesso alle biblioteche degli atenei, che spesso è riservato ai soli docenti e studenti di quegli atenei quale misura che alcuni adottano da sempre e che è stata adottata anche da alcune altre università generalmente più “aperte” della media, in occasione della pandemia.
Lo scenario è il seguente:

a) Le biblioteche di università sono servizi fondamentali per la ricerca, la didattica e lo studio personale, l’accesso alle loro sedi per lavorare è necessario quanto l’accesso alle loro risorse digitali e questo accesso è ostacolato da regole restrittive;
b) tutte le biblioteche appartenenti a organismi pubblici, comprese quelle di università, dovrebbero rendere disponibili le loro collezioni e i loro servizi a chiunque ne abbia bisogno, mentre molte biblioteche di università sono riservate agli studenti iscritti e al personale docente dell’ateneo cui la biblioteca appartiene;
c) le norme sul diritto d’autore ostacolano il soddisfacimento delle esigenze della ricerca, della didattica e dello studio personale.

Da decenni come AIB chiediamo una legge nazionale sulle biblioteche (su *tutte* le biblioteche, di ogni tipologia, sul sistema bibliotecario nazionale), per fare chiarezza sulle loro finalità, funzioni, doveri, prerogative e sull’architettura, collaborativa e multilivello che, dai servizi di prossimità ai servizi infrastrutturali nazionali, deve rispondere efficacemente ai molteplici e differenziati bisogni di accesso alla conoscenza dei cittadini italiani; chiediamo da anni maggiori investimenti politici e finanziari per lo sviluppo dei servizi bibliotecari universali e riforme in materia di diritto d’autore per facilitare la ricerca, l’insegnamento, l’accesso alle fonti di conoscenza. 

Sottoscriviamo quindi con convinzione l’appello del prof. Barbero ai Ministri e chiediamo loro di chiarire ai Rettori e al management degli atenei italiani che anche le biblioteche di università statali, in quanto appartenenti a organismi pubblici, devono assicurare – come previsto dal Codice dei beni culturali – l’accesso alle loro collezioni a chiunque ne abbia bisogno, senza limitarlo agli utenti “interni”. Questo significa, tra l’altro, che deve essere prevista un’apposita eccezione a favore dell’accesso da parte di pubblico esterno a biblioteche e archivi, nella regolamentazione dell’accesso alle sedi che le università hanno adottato per la prevenzione del rischio di contagio durante la pandemia. 
Ciò detto, siamo sorpresi per il fatto che il prof. Barbero non chiami in causa nella sua lettera il principale e più diretto interlocutore a riguardo: egli dovrebbe sapere bene che non sono i direttori di biblioteca e nemmeno i ministri a decidere le policy di accesso alle strutture degli atenei.
Ai fini del raggiungimento degli obiettivi di maggiore apertura che meritoriamente il prof. Barbero auspica, il primo interlocutore è la comunità accademica, i suoi stessi colleghi che compongono la governance delle università!
Stiamo parlando infatti di enti caratterizzati da amplissima autonomia statutaria e regolamentare, dove anche le politiche di gestione e apertura delle biblioteche sono stabilite dalle autorità accademiche, composte in massima parte da docenti universitari.
Stiamo parlando di un settore in cui fino a pochi anni fa tutto il personale amministrativo, tecnico e bibliotecario veniva definito in blocco per negazione – “personale non docente” -, a riprova del limitato peso specifico di questo personale, e in particolare dei bibliotecari, nelle decisioni riguardanti (anche) le biblioteche.
Chiunque lavori all’interno delle università italiane queste cose le sa benissimo e sa che anche in tempi normali sono tuttora pochi i docenti, i dipartimenti, i senati accademici, i consigli di amministrazione e i comitati scientifici spontaneamente inclini ad accogliere chiunque nelle “loro” biblioteche. Questa scarsa inclinazione (ma dovremmo dire talvolta questa forte resistenza) all’apertura verso l’esterno è la ragione per cui tuttora – a dispetto della cosiddetta Terza missione delle università  – nei regolamenti di molte biblioteche di università (soprattutto quelle dipartimentali, le più chiuse rispetto a quelle centrali, di polo o di area) sono previste numerose restrizioni all’accesso di studenti e pubblico esterno, e questo non in via eccezionale per effetto della pandemia, ma come regola della casa.

La stessa gestione professionale delle biblioteche di università in Italia è frutto di un’acquisizione relativamente recente, dato che per moltissimi anni esse sono state prevalentemente luoghi dove collocare uscieri, bidelli, personale problematico, portaborse. Ancora nel 1980, la situazione delle biblioteche di università era questa:

«le biblioteche universitarie, in quanto organismi strutturati nei modi che sono loro propri e specifici, in Italia non esistono: è una specie che non è mai stata voluta, progettata e sviluppata. Ci sono delle biblioteche nelle università: sono esercizi adibiti al procacciamento o semplicemente alla fornitura di pubblicazioni scelte dal docente responsabile o, dietro sua conferma, da altri docenti, e talvolta anche alla lettura e allo studio delle pubblicazioni possedute»
(Alfredo Serrai, Le biblioteche universitarie italiane: un caso di arretratezza e di oscurantismo. Testo della relazione al congresso «Il bibliotecario nell’università», Torino, 20-22 marzo 1980, pubblicata in Temi di attualità bibliotecaria. Roma, Bulzoni, 1981, p. 59-76).

Solo con lo sviluppo delle tecnologie digitali si cominciò a capire che occorreva personale bibliotecario qualificato per gestirle professionalmente in modo coordinato e orientato al miglioramento della qualità dei servizi. Ma in Italia la stagione del rilancio delle biblioteche e dei sistemi bibliotecari di università è iniziata troppo tardi (anni Novanta del XX secolo) e si è interrotta troppo presto (inizio Terzo millennio), a causa non solo dei vari blocchi del turn-over che hanno afflitto tutto il pubblico impiego, ma anche del fatto che non pochi illustri scienziati in diverse aree disciplinari avevano cominciato a predire l’estinzione prossima ventura delle biblioteche visto lo sviluppo delle tecnologie informatiche e telematiche e la disintermediazione tra documenti e fruitori che, a loro dire, ne sarebbe automaticamente derivata (di qui, la riduzione drastica degli organici e degli spazi assegnati, nonché – soprattutto dopo l’entrata in vigore della legge 240/2010 – la sussunzione dell’area biblioteche in altre ripartizioni amministrative degli atenei).

Uno storico della levatura del Prof. Barbero non può ignorare queste cose, non può ignorare come e perché le biblioteche delle università italiane sono ad accesso riservato a utenti interni e sono mediamente sotto-dotate in termini di sedi e personale qualificato, né può sottovalutare il ruolo del corpo docente degli atenei riguardo alla fisionomia di servizio che esse assumono. 

Quanto alle restrizioni in materia di diritto d’autore, anche quelle non sono certo imputabili ai bibliotecari, che invece si battono da decenni (spesso da soli) per superarle: il diritto d’autore è protetto da norme penali e tutti, compresi i bibliotecari, sono tenuti a osservare la legge, non possono violarla ma solo segnalarne le criticità.
Tuttavia, anche in questo ambito e in attesa di alcune riforme che i bibliotecari invocano da decenni, docenti come il prof. Barbero possono giocare un ruolo determinante.
Per esempio, dato che le pubblicazioni accademiche il più delle volte documentano risultati di ricerche finanziate direttamente o indirettamente da organismi pubblici, docenti e ricercatori, in qualità di autori delle medesime pubblicazioni, potrebbero evitare di cedere i tutti diritti esclusivi di utilizzazione agli editori e, quando stipulano contratti di edizione, fare in modo di riservarsi il diritto di rendere disponibili in accesso aperto le loro opere in appositi repository istituzionali, come l’Unione Europea (http://ec.europa.eu/newsroom/dae/document.cfm?doc_id=51636), la Conferenza dei Rettori delle università italiane e i bibliotecari raccomandano da anni (cfr. le da ultimo le Linee guida per la gestione dei diritti per l’utilizzo delle pubblicazioni scientifiche, http://www2.crui.it/crui/linee_guida_gestione_diritti_accesso_aperto_rev_20171120.pdf), e come peraltro previsto anche dalla legge italiana (legge 112/2013, art. 4, secondo comma).
La disponibilità in accesso aperto delle pubblicazioni che documentano la ricerca scientifica consentirebbe infatti a studenti, ricercatori e docenti di superare a monte tutte le strettoie giustamente deplorate dal prof. Barbero, almeno per quanto riguarda riviste e saggistica accademica.

In conclusione, ringraziamo il prof. Barbero per avere sollevato tante questioni rilevanti e, oltre ad auspicare che i ministri Manfredi e Franceschini promuovano strategie di sistema per affrontarle adeguatamente, confidiamo che ognuno s’impegni a fare la propria parte per migliorare lo stato delle biblioteche di università, a cominciare da chi, all’interno delle università, ha più voce in capitolo.

 

Roma, 22 gennaio 2021
Prot. n. 13/2021

Il Presidente Nazionale
Rosa Maiello